E' la ricostruzione più autentica e geniale ed al tempo stesso affascinante della figura dell'Apostolo delle Genti. Tuttavia quello di Pasolini, composto nel 1968, è un volume che, sebbene ne abbia il formato, non è un libro bensì la sceneggiatura di un film rimasto ahimè inedito. Il cittadino romano originario di Tarso è una figura che ha indubbiamente affascinato il nostro. E' una figura che per essere colta in pieno va trasposta ai nostri giorni: “Qual'è la ragione per cui vorrei trasporre la sua vicenda ai nostri giorni? E' molto semplice: per dare cinematograficamente nel modo più diretto e violento l'impressione e la convinzione della sua attualità. Per dire insomma esplicitamente, e senza neanche costringerlo a pensare, allo spettatore, che San Paolo è qui oggi, tra noi e che lo è quasi fisicamente e materialmente. Che è alla nostra società che egli si rivolge; è la nostra società che egli piange e ama, minaccia e perdona, aggredisce e teneramente abbraccia.” (P.P. Pasolini “San Paolo”). E' qui una delle tante manifestazioni del genio di Pasolini: si possono leggere molti testi su San Paolo, le sue opere, i suoi scritti, a cominciare dagli “Atti degli Apostoli” che PierPaolo fa scrivere ad un San Luca per l'occasione posseduto dal Demonio, nessuno è in grado di ridarci con tanta forza la figura del tarsiota. E' importante dunque guardare bene a come venga impostata questa trasposizione e quelle da essa derivanti. “La prima, e capitale, di queste trasposizioni, consiste nel sostituire il conformismo dei tempi di Paolo (o meglio i due conformismi: quello dei
Giudei e quello dei Gentili), con un conformismo contemporaneo: che sarà dunque quello tipico dell'attuale civiltà borghese, sia nel suo aspetto ipocritamente e convenzionalmente religioso (analogo cioè a quello dei Giudei), sia nel suo aspetto laico, liberale e materialista (analogo a quello dei Gentili).” Geniale anche la scelta cronologica del maggior operare di San Paolo: il 1966/67. Esso consente infatti di confrontarsi con due imperialismi: dapprima con quello filonazista di Petain e del Governo Vichy a Parigi dove vive Paolo, borghese e convinto collaborazionista e poi con quello capitalista americano. La trasposizione di San Paolo in un borghese legalista e collaborazionista è senz'altro una grande intuizione ma è anche assai corretta. Il legalismo giudaico che il cristianesimo trasporrà unificandolo a quello del Diritto Romano porterà infatti alla mala pianta del purismo che si ritorcerà in Europa proprio contro gli ebrei e proprio, ahimè, per prima da parte della Chiesa che sarà tra le prime, dopo la caduta dell'impero, ad istituire i ghetti e l'orrida legge della imposizione della stella gialla. Si pensi qui alle stesse parole di San Paolo: “Circonciso all'ottavo giorno, ebreo da ebrei, della stirpe di Beniamino, formato ai piedi di Gamaliele...” Nessuna ricostruzione storica potrebbe mai darci quest'aspetto della personalità di San Paolo così come invece la trasposizione ai nostri giorni: San Paolo è, prima della conversione, un borghese ed un collaborazionista feroce, amico degli squadristi di Petain, uno di loro, colluso con le SS. E' in questo contesto che ha inizio l'attività pubblica di Paolo
la ferocia fondamentalista e fanatica, che culminerà nell'arresto e nel processo a Stefano e nella sua esecuzione prima, nella sua conversione sulla “via di Damasco” poi. Ed è presto tracciato: “... arresti, retate, fucilazioni, impiccagioni, deportazioni di massa, esecuzioni in massa, sparatorie per le strade e le piazze, cadaveri abbandonati per i marciapiedi, sotto i monumenti, penzolanti ai lampioni... Partenze di ebrei per i lager, vagoni merci pieni di cadaveri... Girate nello stile di documentari seguiranno scene in cui viene mostrato l'intervento di Paolo in imprese come quelle sopra descritte; egli poi apparirà di scorcio, quasi in modo casuale (come fosse un personaggio anonimo e dimenticato del materiale di repertorio). Egli girerà per la città – tra gli arresti, le impiccagioni, le sparatorie ecc – nelle auoto e nelle jeep di quei tempi: insomma “Paolo intanto spandeva spavento, alimentando la caccia al fedele: perquisiva case, irrompeva nelle sinagoghe, si trascinava dietro uomini e donne, incatenati, gettandoli nelle prigioni...” Insomma, la trasposizione perfetta del contesto persecutorio che culmina nell'arresto, nel processo e nella condanna a morte di Stefano e nell'invio di Paolo a Damasco. La dirompenza del tutto è accentuata dalla scelta – nuovamente geniale – di mantenere nella rigorosa trasposizione, rigorosamente i testi, i contesti ed i dialoghi originari degli Atti e degli scritti paolini. Tutto ciò consente di mostrare l'impatto sulla realtà di allora e di oggi, dominata dal politeismo e dal materialismo, nonché dalla
secolarizzazione, di una Verità monoteista e trascendentista portante con sé un modello antropologicamente autentico e vero. Uno dei primi esiti è la scena grandiosa ed agghiacciante dell'invio a Damasco, prologo della conversione: “Parigi. Ufficio di un comando militare. Giorno. “Se altri crede di poter aver fiducia nella carne, io più di tutti. Circonciso all'ottavo giorno, della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo da Ebrei, Fariseo quanto alla Legge, quanto allo zelo, persecutore della Chiesa, irreprensibile quanto alla giustizia, che si fonda sulla legge … (Atti 9, 1-30) Queste parole Paolo pronuncia con la sua faccia fanatica di fascista davanti ad un capo degno di lui: un alto ufficiale dell'esercito o un potente burocrate. Che gli sorride, come da complice a complice, come un padre stupido e feroce al figlio stupido e feroce e gli dice: Eccoti le credenziali per Damasco: con gli accordi con le sinagoghe di là perché ti autorizzino a operare arresti e a portare prigionieri qui a Gerusalemme quanti vi trovi seguaci di questo movimento, uomini e donne... Paolo prende le lettere credenziali e con un odioso sorriso (ingenuo e disperato) saluta ed esce, attraversando il lussuoso ufficio in cui si accampano i dominatori”. Damasco è qui “una città fuori dal dominio nazista – potrebbe essere in Spagna per esempio Barcellona – dove si sono rifugiati Pietro e gli altri fedeli di Cristo. La traversata del deserto è così la traversata di un deserto simbolico: siamo per le strade di una grande nazione europea, le campagne del Sud della Francia e poi i Pirenei (…)
in una qualsiasi di queste grandi strade piene di traffico ma perdute nel più totale silenzio, Paolo è colto dalla luce. Cade e sente la voce della vocazione. Giunge cieco a Barcellona; vi incontra Anania e gli altri cristiani e si unisce a loro. Convertito decide di ritirarsi a meditare nel deserto.” Questo nuovo deserto da Pasolini è individuato assai bene: “Un uomo anziano, nobile, misterioso, col viso segnato dalle fatiche e gli occhi chiari ed estremamente miti, parla direttamente allo spettatore del film: Nessun deserto sarà ami più deserto di una casa, di una strada, dove si vice millenocentosettanta anni dopo Cristo. Qui è la solitudine. Gomito a gomito col vicino, vestito nei tuoi stessi grandi magazzini, cliente dei tuoi stessi negozi, lettore dei tuoi stessi giornali, spettatore della tua stessa televisione, è il silenzio. Non c'è altra metafora del deserto che la vita quotidiana. Essa è irrapresentabile, perché è l'ombra della vita: e i suoi silenzi sono interiori. E un bene della pace. Ma non sempre la pace è migliore della guerra. In una pace dominata dal potere, si può protestare col non voler esistere. --- Io sono l'autore degli Atti degli Apostoli. Discorsi di Diavoli.” Incidentalmente va detto qui che Pasolini vede nel San Luca autore degli Atti, al momento della stesura degli stessi un “posseduto dal Demonio” perché il suo scrivere piano, curato, istituzionalizzante toglie, a suo avviso, la forza dirompente e rivoluzionaria sia del cristianesimo che della stessa figura di San Paolo: “Con ogni istituzione nascono le
azioni diplomatiche e la parole eufemistiche. Con ogni istituzione nasce un patto con la propria coscienza. Con ogni istituzione nasce la paura del compagno. L'istituzione della Chiesa è stata solamente una necessità”. La descrizione pasoliniana, invece, è sempre intenta a restituire al monoteismo Cristiano, alla sua trascendenza, al suo modello antropologico ed allo stesso San Paolo tutta la loro forza dissidente e autenticamente rivoluzionaria ed essa prosegue rigorosa seguendo sia lo scritto lucano sia alcuni testi delle Lettere. Paolo dunque torna a Parigi dove, mentre, all'interno della magnifica Notre Dame, è inginocchiato e raccolto in preghiera ha la visione di Cristo che gli dà la sua missione “ad Gentes”: “và dunque perché io ti manderò lontano, tra i gentili”. Così Paolo, con Barnaba si reca dapprima a Ginevra dove predicando cita il testo enigmatico della II Lettera ai Tessalonicesi, “Nessuno vi inganni in alcun modo, infatti se prima non viene l'apostasia e non si rivela l'uomo dell'iniquità, il figlio della perdizione, colui che si oppone e si innalza su tutto ciò che è chiamato Dio o che è culto, fino a sedersi egli stesso nel tempio di Dio, dichiarando se stesso Dio, il giorno del Signore non verrà.(...) Infatti il mistero dell'Iniquità è già in atto: c'è solo da attendere che chi lo trattiene sia tolto di mezzo...” In questa occasione Paolo incontra il giovane Timoteo. More solito, Pasolini torna geniale con la trasposizione del “sogno del Macedone”: “... appare una figura bellissima: è un giovane tedesco biondo e forte. Egli parla a
Paolo, lo invoca a venire in Germania: il suo appello, che elenca i reali problemi della Germania e per cui la Germania ha bisogno di aiuto (…) del neocapitalismo che soddisfa il puro benessere materiale, che inaridisce, del revival nazista, della sostituzione degli interessi ciecamente tecnici agli interessi veri della Germania. (…) ma mentre parla quel giovane biondo e forte diventa sempre più pallido divorato da un misterioso male fino a diventare una delle atroci carogne viventi dei Lager. E, San Paolo, quasi obbedendo a quell'appello è in Germania in viaggio, in autostrada verso il cuore della Germania”. E Paolo andrà in Germania dove Pasolini colloca l'arresto di Paolo, a Colonia e la conversione del carceriere e quindi il rilascio. C'è quindi Roma, la moderna Atene, scettica, ironica, politeista, liberale: “Alcuni epicurei e stoici seduti ai tavoli di Rosati a Via Veneto (Roma è per analogia Atene) discutono ironicamente e con molto spirito fra loro, bevendo il caffè. “Chi è questo nuovo tipo che gira per Atene, sai niente?” “E' un tale di Tarso, fariseo..”. “Ma civis romanus.” “Sì, opera in pieno nello spirito del Patto Atlantico.” “E che dice?” “Beh parla di un certo Gesù e della sua risurrezione!” “Gesù mio!” Altri intellettuali sono seduti al caffè Rosati di piazza del Popolo. Anche lì la questione è dibattuta con molta calma, distacco e con tutto il dovuto scetticismo. “Cosa vuol dire questo parolaio?” “Pare annunci divinità straniere...” “Eppure sarebbe interessante sentirlo... Organizziamogli un dibattito, una conferenza stampa, una di queste cose...” “All'Areopago?” “All'Areopago”.” Come si vede già la semplice sceneggiatura è tutta da gustare ed il film sarebbe stato davvero grandioso e ci
avrebbe restituito in pieno la figura dell'Apostolo delle Genti. Il suo tratteggio prosegue rigoroso: Paolo si predica con successo e scandalo dei benpensanti nei quartieri poveri di Genova e Napoli, i testi sono sempre rigorosamente quelli paolini, qui la lettera agli Efesini. Di nuovo a Parigi c'è il tumulto della folla contro Paolo, il suo arresto ed il suo trasferimento a Vichy e da lì a New York (la nuova Roma capitale dell'imperialismo moderno). La descrizione dell'arrivo a New York apre l'epilogo della vita di Paolo tratteggiata negli “Atti degli Apostoli” e Pasolini riesce a farne una trasposizione insieme grandiosa e commovente: “Apparizione di New York per mare. Il transatlantico dove è imbarcato Paolo – accompagnato dalle guardie – attracca alla banchina del porto e Paolo scende. Ad attenderlo sulla banchina è una delegazione di Giudei domiciliati a Roma: le strette di mano tra Paolo e loro non sono solo cortesi, ma anche commosse e fraterne. Poi il gruppo si perde tra l'immensa folla del porto”. Ci si sposta dunque a Manhattan, ai limiti del Village, nel West Side posto apocalittico e poverissimo “Ma con particolare amore la macchina da presa inquadrerà proprio l'alberghetto in cui è alloggiato Paolo: che ha una curiosa e commovente somiglianza con l'alberghetto dove è stato ucciso Martin Luther King. Un poliziotto americano (nero) cammina tranquillo e dolce su e giùper il ballatoio del secondo piano, su cui si affaccia la porta che dà all'appartamento di Pasolo.” Ci sono la comparsa ed il discorso di Paolo avanti ai Giudei (è ripresa qui al Lettera agli Ebrei), quella davanti al tribunale, il
suo rilascio, il ritorno in Italia e poi di nuovo a New York: “L'alberghetto dove Paolo ha preso alloggio, assomiglia straordinariamente a quello della prima volta; solo che stavolta è assolutamente identico a quello dove è stato assassinato Martin Luther King”. E qui, dopo aver dato il suo mandato a Timoteo, nello stesso luogo ed alla stessa maniera di Martin Luther King, Paolo sarà ucciso con due colpi di fucile...
francesco latteri scholten