sabato 1 novembre 2014

Midterm USA: l'ombra di Hillary?


La data è, more solito, il 4 novembre. Fuori dagl'USA sono viste come delle elezioni "in tono minore", invero si tratta di elezioni non meno significative delle presidenziali e come queste, e forse più, connesse al fulcro costituzionale ed istituzionale della democrazia americana e ne sono l'elemento caratterizzante. A monte di esse vi è infatti la necessità di conciliare due principi in apparenza inconciliabili: quello della sovranità nazionale espresso nell'elezione della Camera e quello dell'indipendenza degli Stati sancito con l'elezione del Senato. In ossequio la Camera ha solo funzione legislativa, è eletta a suffragio popolare diretto ed i suoi rappresentanti durano in carica due anni; il Senato, con funzione legislativa ma anche esecutiva e giudiziaria, è eletto a suffragio indiretto, dai legislatori di ogni Stato, ed i suoi rappresentanti durano in carica sei anni. Ciò fa di esse elezioni più direttamente legate e connesse alle realtà territoriali ed agl'interessi di queste, ma anche, per l'elezione del Senato, alle prospettive future e di medio periodo. Non si tratta perciò assolutamente del semplicistico "Obama sì, Obama no" cui la maggior parte degl'osservatori esterni tendono a ridurle, sebbene esse implichino anche questo. Del resto un sondaggio americano rivela che anche il 52% dei cittadini USA consideri pure ciò e puntino il dito sul forte calo di popolarità del Presidente a causa delle vicende ISIS ed ebola. Un Obama dunque con ormai solo il 29% dei consensi e con un senato in bilico, basterebbero 6 seggi ai repubblicani per "il sorpasso". Il problema non sarebbe neanche quello additato da diversi anche blasonati osservatori nostrani - più avvezzi evidentemente alle nostrane tipologie - di una eventuale minoranza al senato, già Tocqueville ribatteva infatti: "E' accaduto spesso che il Presidente degli Stati Uniti perdesse l'appoggio della maggioranza del corpo legislativo senza per questo essere obbligato a lasciare il potere e senza che da ciò provenissero grandi mali al Paese." Ad uno dei diversi e molteplici problemi in questione avvicina invece uno degl'ultimi e più importanti interventi di Barak Obama, quello sulla parità dei diritti delle donne, cui è intervenuto a spada tratta, come a suo tempo sulla sanità. Quello infatti che rivendica per sé di essere il più grande Paese democratico e la Patria dei diritti, ha avuto ed ha notevolissimi problemi nella loro concrezione pratica, come del resto testimonia una storia che parte da vicissitudini quali quella dello schiavismo, della guerra di secessione, sino ai suoi strascichi novecenteschi con ad es. Martin Luther King. Per l'eguaglianza delle donne la realtà non è ovviamente da meno e l'impegno di una allora giovanissima Julia Roberts in "Mona Lisa smile" ne segna non solo una tappa importante e tra le più note, ma nei fatti del tutto attuale e per nulla superata in una società americana che, specie a livello locale, è tutt'oggi quale ivi delineata. Forse anzi la stessa presidenza Obama è in qualche modo indice che probabilmente la discriminazione etnica a livello trasversale nella società americana è tutto sommato minore di quella della donna. E' qui però ad aprirsi il nuovo punto interrogativo, specie in vista delle elezioni presidenziali del 2016: è attualmente infatti una donna a distaccare di oltre 30 punti percentuali qualsiasi altro candidato sia democratico che repubblicano: Hillary Clinton. Se, come anch'io mi auguro e Le auguro, dovesse riuscire, il dato storico sarebbe comunque quello che negli USA un afroamericano (Obama non me ne abbia, uno dei mei blog più popolari è "ilMezzosangue" con riferimento a me stesso) è diventato Presidente prima che una donna. Un dato purtroppo in linea anche con quello del numero di Deputati e Senatori di sesso femminile. 
francesco latteri scholten.

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