venerdì 30 marzo 2012

In BTp i soldi BCE per imprese e famiglie. Le ragioni di Giulio Tremonti.




Sono complessivamente oltre 1.000 i miliardi che la BCE ha erogato in tre mesi, dal dicembre 2011 (490 miliardi di cui 110 alle banche italiane) al febbraio 2012 (530 miliardi) al tasso dell' 1%. L'ultima asta ha visto accresciuto il numero delle banche partecipanti dalle 523 del dicembre 2011 alle attuali 800. Gl'istituti italiani hanno assorbito, nell'ultima asta, oltre 100 miliardi: 24 Intesa Sanpaolo, 12,5 UniCredit, 6 Ubi Banca, 5 il Banco Popolare. Le quotazioni dei titoli hanno tutte subito delle flessioni: Intesa Sanpaolo -5.33%, Ubi Banca -6.55%, Banco Popolare -7.41% . La liquidità erogata dalla BCE avrebbe dovuto servire per far fronte alla concessione di crediti soprattutto alle piccole e medie imprese ed ai privati, solo in Italia a fronte di circa 2.700.000 richieste di credito, questo è stato concesso solo a circa 170.000 richiedenti, poco più del 5%. La BCE non ha però posto vincoli, così invece che nell'imprenditoria e dunque nello sviluppo delle imprese e nell'economia reale, i soldi avuti in cessione banche sono finiti in investimenti assai più facili, apparentemente più sicuri e lucrativi: l'acquisto di titoli di Stato (debito pubblico) con rendimento dal 3 al 4 %. Dati della Banca d'Italia rivelano addirittura che lo stock di impieghi alle imprese è calato dai 915 miliardi del novembre 2011 agli 894 del dicembre ed agli 899 di gennaio 2012: cioé mentre si prendevano i soldi della BCE si facevano mancare 16 miliardi alle imprese e 2 miliardi alle famiglie. Giustamente, in un'intervista ad Rtl 102,5, l'ex Ministro Giulio Tremonti osservava: "La Bce presta all'1% senza condizioni alle banche. Quindi se vai in banca non ti danno l'1%, se sei un Governo devi pagare il 5-6% ma la Banca Centrale Europea alle banche regala capitali all'1%. Con quell'1% per tre anni le banche possono fare quello che vogliono. Non hanno vincoli ad impiegare per le Pmi, non hanno vincoli o obblighi per staccarsi i bonus. In questo momento se c'è un settore che non ha bisogno di aiuto è quello delle banche". Di più: "Se c'è un settore che riceve aiuti di Stato vietati dall'Europa -ha detto ancora Tremonti- è in Europa il settore bancario. Allora è chiaro che se regalano i soldi per un po' stai ancora in piedi, ma io credo sia una follia. La Bce ha più attivi in bilancio della Banca Centrale Americana ma sta diventando come un 'hedge-fund', cioè come una struttura di finanza a sua volta taroccata. Anche se è l'1% ti danno centinaia di miliardi di euro e che garanzie devi dargli? Le garanzie che vuoi. Ti inventi qualsiasi cosa. Alle banche è permesso di dare in garanzia tutto quello che vuoi e di prendere quello che vuoi". Il problema è in realtà a monte, è quello di una normazione o rinormazione del settore finanziario - tesi già altre volte sostenuta su questo blog - della quale il primo e più importante passo sarebbe la separazione delle banche vere e proprie, quelle che danno soldi alle imprese ed alla gente, dalle altre. Così l'ex Ministro: "Bisogna capire -ha continuato ancora Tremonti- cosa è successo e cercare di cambiare. Non è più possibile continuare in questo modo. Che cosa fare a livello di singolo Paese, ma soprattutto in Europa a livello di Europa? Le banche devono essere divise in due categorie: le banche produttive che fanno i finanziamenti alle imprese, alle PMI, ai lavoratori alle famiglie, alle comunità, e le banche che fanno la bisca, il casinò. Non si può continuare come adesso a fare la speculazione, la bisca, le scommesse, con i soldi dei risparmiatori depositati. Questo non è più accettabile, quindi bisogna tornare a come era il mondo fino agli anni '90, dove le banche facevano le banche e i casinò facevano i casinò".
francesco latteri scholten.

sabato 24 marzo 2012

Cuba: il bis. (La conversione di Fidel?)


Tra le grandi immagini storiche del Novecento almeno due immortalano un Papa, Giovanni Paolo II : la caduta del muro di Berlino, anno 1989 (impensabile senza la sua figura ed opera) e l'incontro a L'Avana, nove anni dopo nel 1998, con il "Leader Maximo". Sono immagini della presenza della Chiesa e di Cristo nella storia e nel mondo. Sono anche l'estrinsecazione di una via, scelta alla luce del vangelo, e concretata nella storia con il Concilio Vaticano II, voluto, iniziato e concluso da due figure anch'esse storiche, quelle dei penultimi due Papi italiani: Giovanni XXIII e Paolo VI. Una via che non condivide né l'una né l'altra delle due grandi ideologie che hanno connotato il Ventesimo secolo, il comunismo ed il liberal capitalismo. Intervistato in volo Benedetto XVI ha ribadito: "Oggi è evidente che l'ideologia marxista non corrisponde più alla realtà. Ci vogliono nuovi modelli e un dialogo costruttivo per evitare traumi. Bisogna collaborare in questo senso. La Chiesa sta sempre dalla parte della libertà, della coscienza e della religione." Anche il modello liberal capitalista non regge: "C'è in America latina una schizofrenia tra vita morale e vita pubblica. Vi sono molti i quali sono anche fedeli alla Chiesa ma i cui comportamenti vanno talvolta in direzione opposta. Sono cattolici ma non si impegnano per una realtà giusta. La fede serve anche a liberare dagli interessi falsi. Occorre superare l'attuale divisione sociale (dovuta alla eccessiva discrepanza tra ricchezza e povertà, ndr). Bisogna superare il male e l'idolatria del denaro che condiziona gl'uomini." Dunque modelli nuovi sia culturali che economici e sociali, modelli che si ispirino ad una concezione antropologica autentica. Ma anche conversione delle menti e dei cuori da vecchi modelli e qui un esempio sarebbe proprio quello dell'ex "Leader Maximo": la figlia Alina ed ambienti informati in Vaticano lo danno in forte odore di conversione. La visita di Benedetto XVI a Cuba sarebbe dunque, come osserva il Gesuita Thomas Reese professore alla Georgetown University di Washington, "una vittoria sia per il Vaticano che per Raul Castro".
francesco latteri scholten
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martedì 20 marzo 2012

Rileggere Lucio Piccolo


 Rileggere Lucio Piccolo è, per me, un gradito ritorno.
Un ritorno, non solo al tempo cui per la prima volta, con entusiaismo, lo lessi restandone affascinato, ma è di più, è infatti un ritorno a tematiche di significativo grande valore, celate dietro forme ed esteriorità barocche, o, forse, più semplicemente, è un tornare in noi di pensieri di vastità e profondità immense, insondate, perenni.
Un ritorno sereno, pacato, atarassico, privo dell' "odio" e dell'odiosità di un qualsiasi giudizio.
I giudizi, per loro natura, sempre sono limitati e limitanti, legati e leganti.
Uno Spirito come quello di Piccolo non poteva che esserne alieno: il suo è il volo di un'aquila, che ci porta con sé alle porte del Sole.
La verità non ha giudizio, né ne abbisogna: la verità è, e basta, così, semplicemente.
La verità: l'uomo al cospetto del proprio tempo, dei tempi, del tempo, del cosmo e delle sue innumerevoli varietà, realtà, attualità, l'uomo e la sua vita.
E' questo il cielo, il regno, in cui quest'aquila ci dona d'essere portati ed a mirarvi con sguardo singolare.
Sarà il grande Eugenio Montale nel 1954, in occasione del convegno di S. Pellegrino a presentare Lucio Piccolo e la sua prima pubblicazione, le 9 liriche, al grande mondo della letteratura, presenti tra gl'altri, Ungaretti, Bassani, Calvino.
Già prima di allora, suo cugino Giuseppe Tomasi di Lampedusa gl'era stato compagno di frequentazioni europee di rilievo.
E' Leonardo Sciascia in Le soledades di Lucio Piccolo ne La corda pazza a narrarci un simpatico aneddoto con protagonisti il Lampedusa, Piccolo e lo stesso Montale:
Nel 1954 Piccolo inviò una copia delle 9 liriche a Montale con una lettera di accompagnamento scritta dal cugino non ancora "autore", Il Gattopardo sarà pubblicato solo successivamente.
Un errore di affrancatura costrinse Montale al versamento di una sopratassa di 180 lire.
Non è dato sapere s'egli lesse il libriccino per appurare se valesse le 180 lire, ma certo dovette rimanerne favorevolmente impressionato, perchè fu lui a scrivere poi la nota introduttiva dei Canti barocchi pubblicati da Mondadori.
Aneddoti a parte, è comunque, tra gl'autori italiani, senz'altro Montale quello che più di tutti, per forma e contenuti rassomiglia in un qualche modo a Piccolo.
Esiste tuttavia, tra i due una differenza ed è questa: Montale è più poeta, Piccolo è più pittore.
Dovendo dire di Piccolo e della sua poesia direi infatti ciò che prima e più di tutto mi colpiusce: è un pittore, un pittore di poesia.
Le sue non sono parole, sono immagini, immagini scritte che hanno la bellezza d'un quadro di grande autore.
Un quadro reale ed immaginifico, che ci mostra figure del pensiero, mirabile, dipinti della mente che imperturbata ha osservato ed osserva il mondo.
Di questo troviamo in lui un pinctor optimus, un maestro unico.
Lasciamo perciò che di Lucio Piccolo ci parli Lucio Piccolo:

Di soste viviamo

Di soste viviamo: non turbi profondo
cercare, ma scorran le vene,
da quattro punti di mondo
la vita in figure mi viene.
Non fare che ancora mi colga
l'ebbrezza, ma lascia che l'ora si sciolga
in gocce di calma dolcezza:
e dove era il raggio feroce, ai muri vicini
che celano i passi ed i visi, solleva improvvisi
giardini.

E il soffio è sereno che muove al traforo
dei rami i paesaggi interrotti
e segna a garofani d'oro
la trama delle mie notti.

francesco latteri scholten.

martedì 13 marzo 2012

Arance meridionali non è solo colpa della Fanta.

 Torna, come più volte già in passato, la questione delle arance meridionali, specie calabresi, cedute per pochi centesimi, 7, sì sette centesimi al Kg. E' questo il prezzo al quale sono cedute alla Fanta, marchio, insieme a Sprite, della Coca Cola. I produttori, soprattutto calabresi, del rossanese, ma anche di altre zone della Calabria, e pure di Sicilia, Puglia e Campania, sono in rivolta. Si tratta infatti di quotazioni che non è più possibile tenere neppure facendo raccogliere il prodotto agli extracomunitari nordafricani ed africani neanche a retribuzioni di autentica schiavitù. Ci si è così decisi di scendere in piazza in cortei con tanto di trattori, bandiere, folklore e, perché no, non dissimulata indignazione. Si vuole un intervento del governo. Tuttavia al di là della non dissimulata indignazione non si va perché si vuole la Fanta, si vuole il "Padrone", solo che questi deve pur capire che ciò che chiede è ormai del tutto impossibile. Il discorso e, soprattutto, l'operare degli agrumicultori è più che legittimo. Si tratta, ciononostante, di un discorso molto naiv e miope. Perintanto la Fanta nei suoi stabilimenti esteri produce con essenze chimiche e con una percentuale irrisoria di arance, ed a farlo anche in Italia, non ci metterebbe né uno né due, anzi lo ha già fatto sapere, ed ha già fatto sapere che o così o i produttori le loro arance possono anche tenersele. Si apre qui un grosso capitolo inerente il mercato e la libertà di mercato, la coscienza e responsabilità personale e sociale, il consumo e l'acquisto cosciente e responsabile. Realtà portate avanti già da decenni con decisione nel centro e nord Europa soprattutto dai Verdi. Si tratta di tematiche che non hanno praticamente trovato riscontro nel meridione e non ne trovano tutt'ora. La Calabria, ma anche le altre regioni citate, sono piene di grandi capannoni, costruiti con fondi europei, ciascuno dei quali avrebbe dovuto divenire uno stabilimento per la produzione in loco e dare così sviluppo al territorio. Qualcuno sarebbe dovuto diventare anche stabilimento per la produzione di bibite, e qualcuno addirittura stabilimento per la produzione di aranciata, fatta magari d'arance, tanto per cambiare. Invece si è agito - presentazione di progetto ad hoc, costruzione di capannoni - per avere la prima e la seconda, in qualche caso anche la terza tranche di fondi europei e basta. Sì e basta, perché se si fosse realizzato lo stabilimento, ad es. di aranciata e la si fosse cominciata a produrre ed immettere sul mercato, a cominciare da quello locale, si sarebbe andati a cozzare contro un mercato già saturo e per di più, in diverse località già lottizzato dalle cosche. Si sarebbe andati a colpire interessi già costituiti di un mercato che libero di fatto non è assolutamente. Lo stesso conseguirebbe una campagna di acquisto e consumo cosciente e responsabile, quale quelle dei Verdi in nord Europa che porta al boicottaggio ad esempio proprio dei prodotti Coca Cola e Fanta, l'aranciata fatta quasi senz'arancia, a favore di altri prodotti più naturali e genuini. Ma questo non si vuole. E, non c'è neppure l'orgoglio di fare per davvero degli stabilimenti meridionali in cui si produca vera aranciata fatta di vere arance e l'orgoglio di comperarla preferendola alla Fanta. Tutto questo cozzerebbe contro interessi di mercato già costituiti. Si vuole la Fanta. E, perciò il governo paghi i soldi che non dà la Fanta. Le ragioni del sottosviluppo del Mezzogiorno. Perché non cominciamo a farci un'aranciata nostra, fatta di vere belle arance meridionali e cominciamo a comprarla al posto della Fanta?
francesco latteri scholten
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mercoledì 7 marzo 2012

Con Virginia Woolf, Simone de Beauvoir, Oriana Fallaci, e tutte e tutti gl’altri contro il burka per i driritti delle donne.

 Era in gamba Oriana, così in gamba che persino un fanatico islamico come l’ayatollah Kohmeini decise di incontrarla, purchè, precondizione, ella indossasse il burka. Lei rimase all’altezza di sé: accettò e poi, in pieno incontro, si tolse il simbolo d’infamia per gettarlo di fronte al suo interlocutore attonito. In “Insciallah” racconta la sua esperienza in medio oriente e soprattutto il suo impegno contro la riduzione, in quei luoghi, della donna a puro e mero oggetto. Il suo impegno contro un falso concetto di “purezza”, in nome del quale le donne sono infibulate, mascherate con il burka, mutilate delle dita perché si sono dipinte le unghie, e poi, paradossalmente, in nome della stessa purezza - è un’espressione sua - “vendute come capre al mercato”: sposate bambine,. Usi combattuti anche ad es. da Gandhi, sposato bambino anche lui, con una bambina. Il Mahatma, come del resto anche Oriana, metteva bene in evidenza come dietro questo concetto di purezza si celasse in realtà l’interesse di potere, l’interesse economico e il “prestigio” sociale - secondo una concezione abbietta di prestigio sociale, ovviamente - di chi di quel concetto faceva uso. La lotta di Virginia Woolf e di Simone de Beauvoir è stata difficile, ma forse più agevole. E’ stata una lotta per le donne in una società che certo discriminava le donne, quale quella occidentale degli inizi del Novecento. E’ stata però una lotta in una società nella quale nessuno si sognava di mascherare le donne con il burka, tautomero di amputarle le dita perché se le erano dipinte o di sfregiarle radicalmente con l’infibulazione. Realtà estranee all’Occidente sin dalla sua storia più remota ed arcaica. Già i celti ed i germani, pur non riconoscendone il voto, ammettevano comunque le donne alle assemblee decisionali e ne ascoltavano con interesse il parere, come ci testimonia il grande Tacito. Oggi queste realtà sono entrate anche in Occidente. Sono entrate in Occidente con chi è venuto in Occidente perché lo ha preferito ad altre realtà, ma poi rifiuta la civiltà occidentale ed una integrazione con essa. Con chi, anche fuori dall’Occidente, a casa propria, vuole i frutti della civiltà occidentale che rifiuta. Con chi rifiuta di capire che proprio e solo una civiltà come quella occidentale poteva produrre quei frutti. Ciò che lascia perplessi e che in Occidente, sinora solo il Presidente francese sia intervenuto con energia per affermare che certe realtà non sono ammissibili perché radicalmente lesivi della dignità delle donne e perché - in quanto tali - incostituzionali.
francesco latteri scholten.

lunedì 5 marzo 2012

FIAT: miliardi in Serbia x nuovo modello, ma se mercato USA va male si chiuderà in Italia.

 Tempo addietro, non un leader dei sindacati o della sinistra intransigente, bensì Umberto Bossi aveva dichiarato una verità che è nota a tutti: "Con tutti i soldi che lo Stato ha dato alla FIAT, la FIAT avrebbe potuto acquistarla quattro o cinque volte". I salvataggi di FIAT sono stati molteplici e reiterati. I più celebri sono quelli che hanno visto quale "dirigente" un esterno, l'ex re della finanza italiana Enrico Cuccia. Fu lui, negl'anni settanta, contro l'avvocato Giovanni Agnelli che pensava ad una dismissione, a credere nell'azienda automobilistica italiana, a volere e credere nella "127", ad ottenere finanziamenti pubblici e convogliare quelli privati. Fu il successo più grande e FIAT conquistò il posto di primo esportatore di automobili in Germania, con un export che costituiva il 50% dell'export totale di FIAT. Fu sempre Cuccia, di fronte alla nuova crisi FIAT degl'anni ottanta, la 127 era ormai vecchia, a orchestrare il progetto Uno, la prima utilitaria "alta" che perciò nella stessa lunghezza offriva una abitabilità superiore a quella di tutte le concorrenti dello stesso segmento. Enrico Cuccia, il finanziere gentiluomo, lo fece per le centinaia di migliaia di lavoratori che lavoravano direttamente o indirettamente per l'azienda torinese e delle loro famiglie, non certo per Giovanni Agnelli, dal quale ben sapeva che non avrebbe mietuto - come infatti fu - neppure un grazie. Dopo Cuccia vi furono altri salvataggi in seguito ad altre crisi. Non vi fu però chi avesse la statura di un Enrico Cuccia. Vi fu soprattutto un atteggiamento non solo improvvido, ma apertamente irresponsabile da parte dei vari governi che si sono succeduti, nessuno dei quali, a differenza di quanto fatto ad es. in Francia o in Germania, ha pensato di vincolare le concessioni al mantenimento della produzione sul suolo nazionale ed a tutela dei lavoratori nazionali e, al tempo stesso, vincolare le concessioni anche alla sorveglianza dell'operare finanziario globale, anche estero dell'azienda per evitare che i soldi si usassero altrove. I toni usati da Marchionne lasciano attoniti. Di più è stupefacente il fatto che da parte del governo e dei ministri economici nessuno dica nulla, anzi si continui a guardare alla politica di Marchionne come politica di salvezza FIAT autoimplicante la salvezza dell'economia italiana e del mercato del lavoro italiano e questo nel momento stesso in cui si ipotizza apertamente di chiudere in Italia e si investono miliardi in serbia per la produzione del modello che sostituirà la "Idea". La salvezza di FIAT non è assolutamente autoimplicante la salvezza dell'economia italiana e del mercato del lavoro italiano: sono - come i fatti dimostrano e sottolineano - due realtà totalmente diverse. Sarebbe ora che finalmente anche i politici cominciassero a capirlo e trarne le conseguenze anche perché i soldi che loro fanno pervenire a FIAT sono soldi italiani, dei cittadini italiani ed è giusto che siano utilizzati anzitutto per il lavoro ed i lavoratori italiani in Italia e non altrove.
francesco latteri scholten.