giovedì 28 febbraio 2013

L'ultima vittoria di Benedetto XVI : la riaffermazione dello Spirito di S. Benedetto.


 Sono pochi minuti prima delle 18.00, Papa Benedetto XVI ha lasciato S. Pietro avviandosi verso Castel Gandolfo. Dalle 20.00 sarà "Pontefice emerito". Il Cardinale Joseph Ratzinger, uno dei teologi più insigni del Novecento, aveva segnato con una impronta profonda sia il Concilio Vaticano II - come da lui stesso ricordato in occasione del recente saluto ai parroci di Roma - sia tutta la teologia successiva. Aveva segnato in particolare il pontificato di Giovanni Paolo II, in cui era stato Prefetto della Congregazione per la Fede. Si era voluta una continuità in questo e ad hoc l'ultimo Conclave lo aveva - contro il suo desiderio - innalzato al Sommo Ministero. Lui accettò in quello che è sempre stato lo Spirito che lo ha caratterizzato: innovazione nella tradizione. Lo stesso nome assunto, non Giovanni Paolo III, bensì Benedetto XVI, da subito era indicativo della volontà di andare oltre e procedere in un rinnovamento profondo di una Chiesa ormai troppo secolarizzata, nella ricerca di sé e della propria Spiritualità più Vera. Non poteva così che riapparire la figura immane di San Benedetto, colui che nei tempi estremamente oscuri posteriori alla caduta dell'impero Romano, seppe rinsaldare, preservare e trasmettere non solo la fede, ma anche le radici della cultura Europea. Quello del "Grande Monaco" è - insieme a quello di Gesù Cristo, di San Giovanni e San Paolo - il nome simbolo per antonomasia di "Cattolico", ovvero universale. Una Chiesa davvero Chiesa di Cristo e non di Erode, come già accaduto in passato (ai tempi di Cristo stesso), e come purtroppo in parte accade anche oggi con ciò che riduce semplicemente a "multinazionale della fede". Far rinascere una Chiesa Vera, e, al tempo stesso ed in coincidenza, una vera Europa: la trasposizione dell'opera di San Benedetto. Un progetto in sé estremamente ambizioso, che si lascia integrare nell'animo sostanzialmente umile di Ratzinger solo per la sua improcrastinabile necessità ed urgenza in una realtà sempre più secolarizzata anche all'interno della stessa Chiesa. "In hoc Signo vinces" non è un paradosso, o forse sì, sta di fatto che proprio la sconfitta dimissionaria segna la vittoria più grande con folle immense di ogni lingua, razza e nazione che si stringono in amore intorno al Papa e con lui - commosse - tornano alla preghiera, ad essere Chiesa Vera, a Dio. Forse - le vie del Signore sono imperscrutabili - in nessun altro modo questa missione grandissima sarebbe potuta giungere a compimento e, d'altronde, il ritiro in convento che avrà seguito dopo i due mesi a Catel Gandolfo, segnano proprio la prosecuzione radicale della "Via Benedicti".
francesco latteri scholten.

martedì 26 febbraio 2013

Dopo voto: Amen, e così sia: un cuneo ha spaccato II e III Repubblica.


 "Amen, e così sia ... noi non andremo in Paradiso ... abbiamo il cuore un pò blasfemo..." inneggiava Zucchero in una famosa canzone. Lo riferisco, ovviamente, a me stesso. E' comunque l'unico commento vero e concreto che si possa fare, ormai ad oltre un giorno dalla chiusura dei seggi, con buona pace dei tanti fatti e delle più o meno colorite prime pagine dei giornali di vario orientamento, sia nazionali che esteri. Amen. E' finita. Con buona pace della tutela infame del porcellum, lo tsunami Grillo ha spaccato - finalmente! - l'artefatta dialettica bipolarista, dietro cui si cela il trasversalismo della casta. Ha posto anche la scure alla base del suo feudalesimo, e speriamo che non resti semplicemente lì. Il nostro - ed è stato l'unico leader di rilievo a farlo - è andato a Taranto, all'ILVA, tra la gente ed i suoi problemi reali, ha traversato a nuoto lo stretto per abbracciare non solo idealmente la Sicilia, è andato a Termini Imerese, sempre tra la gente ed i suoi problemi veri. La gente lo ha ricambiato e di cuore. Specie qui in Sicilia, dove i suoi, grazie al recente successo, che affianca quello di Rosario Crocetta, hanno saputo essere laboratorio politico di costruttivo ed importante risultato. Del resto, sempre tra i tanti, proprio il commento del nuovo Governatore è stato il più adeguato alla nuova realtà nazionale: il nuovo modello Sicilia avrebbe dovuto essere preso in seria e positiva considerazione già prima del voto, ben prima. Solidale anche il nuovo sindaco di Palermo Leoluca Orlando. Il modello siciliano dunque ha anticipato e bruciato sui tempi la realtà nazionale. Più importante è però il fatto che il modello - almeno sinora - stia concretamente funzionando, anche se problemi ed ostacoli certamente non mancano. Per Grillo la vera sfida comunque inizia adesso: dalle piazzate "contro" al fare pratico al governo, il tutto in mezzo alle macerie lasciate dal ventennio berlusconiano.
francesco latteri scholten.

sabato 23 febbraio 2013

Al Conclave tra luci (molto poche) ed ombre (molte ed assai tenebrose)


 Sono le vicende dello IOR - nome funesto che subito richiama alla memoria vicende tutt'altro che spirituali e nomi quali quelli di Marcinkus, Sindona, Calvi, Gelli, la banda della Magliana - ad ottenebrare, significativamente, la fine del pontificato di Benedetto XVI. La spada di damocle del dossier stilato per conto dello stesso Papa dai cardinali Julian Herranz, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi, sovrasta il Vaticano e potrebbe essere reso noto per indicazione dello stesso Ratzinger. E' infine la forma moderna dell'antico rapporto tra Erode e Caifa, che portò alla crocifissione di Gesù Cristo. Gli albori dell'epoca moderna sono segnati proprio dalla trasmutazione di questo rapporto nell'altro, quello della preferenzialità di un modello socioculturale rispetto ad un altro, come bene testimoniano le vicende di Galilei e Bruno. In termini diversi: la scelta "spirituale" di un modello socio culturale piuttosto che un altro implica ed è una scelta economica. Alla fine la "spiritualità" è, insomma alquanto materiale. In questo grave momento, la Chiesa si è giustamente - ma è giusto solo in piccola parte - richiamata alla spiritualità della propria missione. E' qui però proprio, ancor prima che il Concilio, la "modernità" stessa a porre alla Chiesa, non tanto in quanto comunità di tutti i fedeli, ma in quanto gerarchia, la stessa questione che già Cristo pose ad Erode e Caifa. Se quella "spiritualità" cui ci si richiama ci fosse stata davvero da chi era lì in determinati ambiti a portarla, quegli scandali non ci sarebbero stati. Ora che ci sono, ci si richiama alla "spiritualità", ma rifiutandosi categoricamente di cambiare. Ed è qui il comune denominatore di queste vicende: lo IOR non può pretendere di non adeguarsi, e vada alla normativa italiana, è banca estera, ma alle norme bancarie internazionali. Lo IOR non può incancrenirsi in norme medioevali che servono dimostratamente - e ne è tristissima testimonianza la storia recente con i nomi già citati - a nascondere e tutelare manovre di maxi ingegneria criminale finanziaria. Proprio in nome di quella "spiritualità" cui ci si richiama continuamente ci sarebbe il dovere e l'obbligo, non di impedire l'accesso alla magistratura, bensì di chiamarla. Basterebbe già un buon senso civico laico del "bene comune", ed a maggior ragione, si capisce, una "spiritualità" a imporre il cambiamento di queste normative, di questi modi di fare, di procedere, di operare, che poi "spirituali" non sono proprio per niente. Sono infatti semplicemente quelli di una "multinazionale della fede", che nulla ha da invidiare alle altre multinazionali in fatto di assoluta mancanza di scrupoli. Stesso dicasi - mutatis mutandis - per le altre aberrazioni, quella, ormai annosa, della pedofilia e l'ultima - che sta venendo fuori adesso - delle "lobby gay". E' il problema di fondo soprattutto della gerarchia, come del resto ha ben denunciato proprio Benedetto XVI (ovviamente con altre parole) nei suoi ultimi interventi: interrogarsi se si è "multinazionale" o Chiesa. Purtroppo la risposta fattiva di molti prelati è immediata: Multinazionale. Ma questa risposta, come bene ha evidenziato già Joyce con il suo Padre Flynn, comporta ed implica la perdita del Logos.
francesco latteri scholten.

venerdì 22 febbraio 2013

Polizia per garantire diritto di cronaca ai giornalisti italiani: ecco l'Italia di Grillo


 Ecco l'ultima: dopo che dai pressi del palco del comico, eretto in piazza San Giovanni a Roma, i suoi fan avevano fatto ricorso ad alcuni Carabinieri - evidentemente disinformandoli - per allontanare i giornalisti italiani, lasciando il diritto di cronaca solo a Sky ed agli stranieri. Rifiuto dei Carabinieri e loro sostegno ai giornalisti, poi, intorno alle 19, l'intervento in forze della Polizia di Stato ha provveduto a garantire il legittimo diritto - sancito dalla ns Costituzione - anche ai giornalisti italiani. Il fatto evidenzia che siamo ancora in una democrazia e che la ns Costituzione - giustamente definita "la più bella del mondo" tra gl'altri da Bersani, ma anche da Monti - garantisce la libertà di stampa e lo fa per davvero. Il fatto evidenzia anche cosa in realtà sia Grillo ed il suo movimento e cosa ci si debba aspettare. Del resto il precedente triste e grave dell'apertura a "Casa Pound" dove si è orgogliosi di salutarsi con il saluto romano, è assai indicativo. Una realtà un pò diversa da quella disegnata da Silvio Berlusconi, che per demonizzare Grillo ed il suo movimento li ha definiti tout court con il termine designativo della sua fobia più profonda: "comunisti". Più preciso Bersani: "Cosa dire di uno che rifiuta il confronto, che rifiuta le domande, che rifiuta di rispondere, che porta avanti degli show di piazza che nulla hanno a che fare con la politica vera ed i suoi problemi..." Era il 1921 quando Freud pubblicava "Psicologia delle masse e analisi dell'io", e chiariva molto bene cosa accadeva in realtà che - ancora non poteva saperlo - avrebbero trovato ben presto una nefasta concrezione già nel 1922, con la marcia su Roma. Un grazie di cuore agli agenti delle forze dell'ordine che hanno saputo garantire la libertà di stampa ed il diritto di cronaca anche ai giornalisti italiani ed a questi ultimi. Grazie per il coraggio e l'impegno civico per la Libertà, quella vera.
francesco latteri scholten.

giovedì 21 febbraio 2013

Al voto della politica che non c'è.


 La politica è economia e l'economia è politica. Sono, inscindibilmente, due facce della stessa medaglia. Ma è ciò che pare essere ignorato, e non da oggi, nel ns. Paese dove sia i politici, i partiti ed anche i più recenti dei movimenti sembra abbiano, come d'incanto, fermato gl'orologi. Pare di avere di fronte qualcuno dei celebri dipinti di Salvador Dalì con gl'orologi che si liquefanno, con le lancette ferme a prima degli anni settanta, quando l'economia era il capitalismo industriale e la politica la rispecchiava fedelmente. Il confronto con la recentissima scomparsa, oltreoceano, di Ronald Dworkin, uno dei più autorevoli filosofi del diritto contemporanei, è sufficiente a rimettere a posto orologi e lancette, a confrontarsi con quanto è accaduto "dopo". E, tra le tante, Dworkin ne sottolinea particolarmente due: 1) il "laissez faire", "la mano invisibile" che governa il libero mercato e che invero era solo uno di tantissimi esempi in cui per pagine e pagine Adam Smith amava dilungarsi, ha mostrato appieno di essere appunto solo un esempio, e che la realtà in cui ci si è ritrovati è quella già denunciata dallo stesso Smith come la più iniqua al libero mercato, ovvero quella degli oligopoli e dei monopoli, dove, a livello mondiale circa 130 multinazionali controllano l' 80% della ricchezza del pianeta, strangolando uomini, istituzioni, popoli, Paesi. 2) Il capitalismo non è più industriale, ma finanziario. Non c'è più, e torniamo in Italia, un Giovanni Agnelli che mette in campo la propria genialità, la propria competenza, il proprio lavoro ed i propri capitali e quelli di amici per fare una "Fabbrica Italiana di Automobili a Torino" e, partendo da materie prime, costruisce un prodotto che vende e quindi crea ricchezza e, soprattutto, lavoro. C'è - e le date coincidono, siamo guardacaso negli anni settanta - un Gianni Agnelli, che - per fortuna trovando l'opposizione di Enrico Cuccia - dice che lui (ed i maggiori suoi azionisti) con questa roba non vuole più avere a che fare perché i soldi veri si fanno altrove, nella finanza e che questa non dia un solo posto di lavoro, ma anzi spesso per il proprio tornaconto non si fa scrupolo di distruggerne a centinaia di migliaia, ebbene, poco importa: "pecunia non olet" si era giustificato davanti al Senato di Roma l'imperatore Vespasiano dopo aver messo la tassa sui cessi pubblici della città sino ad allora gratuiti. L'America se ne è resa conto da tempo e da tempo combatte, per il ritorno al Glass Steagall Act, contro le banche casinò, contro i derivati, contro un capitalismo finanziario che non può produrre né lavoro né benessere ma solo desolazione e distruzione. Combatte contro Jamie Dimmon di JP Morgan che tutto questo incarna. Combatte dal basso con i singoli, uomini e donne, con i movimenti come "Occupy Wall Street" e "Viola People", combatte nei grandi partiti tradizionali, come quello Democratico, combatte con Deputati e Senatori, con uomini di Chiesa. Da noi si è capaci di intendere il capitalismo solo come capitalismo industriale, ovvero come ciò che esso non è assolutamente più. E, per chi si azzarda a dire qualcosa, c'è subito l'etichettatura all'insegna del politicismo più rozzo e grottesco che dipinge l'agone politico in termini di tifoseria calcistica: "comunisti, Stalin, gulag, Ceaucescu etc". C'è non la Politica, ma la sceneggiata, il teatrino della caricatura della politica: quello che inscena Pirandello, l'altro Shakespeare, l'altro ancora Aristofane e così via. La politica si è degenerata a spettacolo, a teatro, e riesce a fare ormai solo questo. Non c'è la capacità di rendersi conto della realtà economica e perciò, tantomeno, quella di confrontarsi con essa. D'altronde la sceneggiata, il teatro, è esattamente questo, è la scissione dalla realtà - specie quella economica - e perciò stesso dalla Politica, quella vera. Dobbiamo votare per chi? Per Shakespeare? Per Aristofane? Per Pirandello? Insomma, per chi censura dobbiamo andare a votare? Sono due soli e piccoli barlumi di garanzia quelli che appaiono in questo contesto di desolazione totale, quella per l'unità d'Italia, una delle poche cose che possa in qualche modo garantirci contro l'oligopolio finanziario, con forza e giustamente portata avanti da Bersani, e la Bonino al Quirinale, garanzia di un minimo di diritti civili, proposta da Monti.
francesco latteri scholten.

lunedì 18 febbraio 2013

Torna in produzione la mitica Citroen 2CV?


E' stata per prima l'italianissima Piaggio, alcuni anni fa, ad interrogarsi sull'opportunità di rimettere in circolazione uno dei grandi miti a due ruote, il "Vespone". Pare che ora, oltr'alpe, in casa Citroen, ci si stia ponendo una domanda simile per uno dei miti a quattro ruote, la "deux Chevaux", nota anche come "coccinella" o "papera". Sono molte le immagini - e ne basterebbe una sola ad entrare nella leggenda - che vengono a mente. Forse la più celebre è quella - verniciata in giallo limone - di vetturetta della bella "Bond girl" Carol Bouquet, per un rocambolesco inseguimento in "For your eyes only", ma ve ne sono altre, meno filmesche, ma che testimoniano della grande validità tecnica e meccanica del veicolo, della sua robustezza ed affidabilità: in 100 per attraversare il Sahara (e 100 all'arrivo) nel "Raid delle coccinelle", alla Parigi Dakar, veicolo da battere - insieme alle sovietiche UAZ - nella categoria veicoli di serie, come anche alla Parigi Pechino. Punto di forza, oltre - a dispetto delle apparenze - una scocca assai solida, un robustissimo 4 cilindri di 650 cc dalla modesta ma sufficiente potenza di 27 Kw (33 CV), dai consumi, e qunidi dalle emissioni, estremamente ridotti: ben oltre 25 Km di percorrenza con un solo litro di carburante, per una utilitaria un pò lenta in accelerazione (circa 20 secondi per lo sprint da 0 a 100 Km/h) ma con 4 posti veri. Altro punto di forza, a dispetto del forte rollio e beccheggiamento, era una tenuta di strada invidiabile e, se riferita alla categoria, eccellente: più di un concessionario in diversi Paesi europei ne dava in palio una a chi fosse riuscito a farne cappottare una in curva. Nessuno ha mai vinto il premio. Caratteristiche dunque che ancora oggi garantirebbero collocazione di assoluto rilievo ed una buona competitività tra le superutilitarie, anche a fronte di modelli più moderni.
francesco latteri scholten.

sabato 16 febbraio 2013

Lotte civili, Lirio Abbate denuncia i talebani italiani: "Fimmine Ribelli"


 No, non è in Pakistan, e non si tratta delle diverse simili storie di ragazze pakistane immigrate nel ns. Paese, tristemente all'onore delle cronache. Non si tratta neppure di realtà italiane di non troppi anni addietro, dell'Italia della Montessori considerata ai suoi tempi una ... perché aveva, udite udite, la pretesa di essere lei a decidere con chi fidanzarsi. No, si tratta di una realtà socioculturale diffusa e radicata proprio nell'Italia "moderna" di oggi, soprattutto, ma non solo, negli ambienti della criminalità organizzata, specie in quelli della 'ndrangheta. La denuncia è di un noto giornalista, Lirio Abbate, siciliano, che spesso scrive per "L'espresso" e "Repubblica", e che è passato all'impegno civico con il libro "Fimmine Ribelli", edito da Rizzoli. Lirio con forza e chiarezza rileva come i dati statistici siano del tutto equiparabili a quelli di altre realtà socioculturali caratterizzate da illegalità, arretratezza e ricchezza da narcotraffico, quale quella messicana di Ciudad Juàrez, dove nel '93 sono state uccise ben 430 operaie e oltre 600 sono scomparse. A decretare la sentenza di morte sono quasi sempre familiari diretti, non solo uomini, ma, spesso, donne anch'esse, in un contesto perverso e delirante di concezione dell' "onore" per il quale "meglio morta che disonorata". E così, come presso i talebani, la famiglia emette una fatwa, che tutti s'impegnano ad eseguire. Se per qualche varia ragione non è possibile uccidere la donna, allora si uccidono gl'amanti. Nella disperazione delle condannate c'è anche un elemento - se così si può dire e se può avere ancora un senso questo termine - "positivo": diverse delle condannate, spinte più dalla disperazione che dal coraggio, si sono rivolte alle forze dell'ordine per diventare collaboratrici di giustizia ed hanno così dato un contributo notevole alla lotta contro la criminalità organizzata ed il narcotraffico. Libro importante per un'iniziativa ancor più importante, il Libro di Abbate è il nuovo "Noi ragazzi dello zoo di Berlino", ed apre gl'occhi su quale sia la verità vera della realtà che ci circonda.
francesco latteri scholten.

giovedì 14 febbraio 2013

Benedetto XVI: ultima difesa del Concilio?


 E' del tutto dedicato al Concilio Vaticano II l'incontro di Benedetto XVI con i parroci della sua diocesi, quella di Roma. Per il Papa esso è l'ultimo grande atto di confronto della Chiesa con la "modernità" e il richiamo immediato è alla grande figura istitutrice della "modernità": Galileo Galilei. A chi scrive viene subitaneo il raffronto con la figura di Urbano VIII. La condanna di Galileo segna infatti non solo la disfatta, all'interno della Chiesa, del "partito modernista", filofrancese, ma, nel rapporto con la modernità è più incisiva e deleteria. Come bene ha mostrato recentemente Pietro Redondi, la denuncia contro Galileo era in realtà per atomismo (va ricordato  che a causa della straordinaria somiglianza visiva della grafia di redazione del documento con quella del gesuita Padre Orazio Grassi antagonista di Galileo al Collegio Romano, egli omise un esame calligrafico tecnico, che fatto successivamente, identificò invece la grafia con quella di Padre Inchofer). La cosa avrebbe portato Galilei, scienziato fiduciario del Papa, al rogo, per eresia, e, viste le celebrazioni del Saggiatore da parte di Urbano VIII, alla condanna per eresia dello stesso. Bellarmino dirottò il processo sulla via del copernicanesimo, peraltro praticamente già accettato dalla Chiesa, Urbano VIII fu così salvato dall'accusa di eresia e Galilei dal rogo. L'esito fu disastroso perché così fu condannato persino ciò che della modernità la Chiesa già accettava e, di fatto fu spostato indietro l'orologio di 4 secoli. La tesi copernicana non era importante per la Chiesa in quanto tesi astronomica e per la sua contrapposizione su questo piano con quella geocentrica, bensì per la concezione antropologica di cui questa era ritenuta la prova. Come risulta dagli atti del processo, e da diversi scritti e testimonianze, tanto di Bellarmino quanto di altri, fondamentale era semplicemente il traghettare la vecchia concezione antropologica e le sue corrispondenti strutture sociali e politiche nella nuova "realtà". Ma questo, specie se si parte dal presupposto di un Dio creatore e perciò di un Universo ed un uomo creazione, non è più confrontarsi, semmai rifiutare il confronto. Il Papa non è ovviamente - del resto sarebbe occorso più di un incontro interamente dedicato al tema - entrato nel merito e, la sua voleva essere solo "una chiacchiearata con i parroci". Si è limitato così a pochissime battute, ma ad una affermazione importante: "quell'approccio con la modernità e quanto ne è seguito è stato un errore da parte della Chiesa". Ma se il Concilio è l'ultimo atto del confronto della Chiesa con la modernità, e Joseph Ratzinger è stato uno dei suoi emeriti, uno di quelli che ad esso hanno dato una impronta significativa, come egli stesso sottolinea, se poi il Card. Ratzinger ha continuato in ciò, se specie da capo della "Congregazione della dottrina per la fede" ha continuato a farlo improntando tutta la teologia e quindi la politica della Chiesa durante il papato di Giovanni Paolo II e quindi da Papa, nel proprio, allora le sue dimissioni - indubbiamente atto di grande umiltà e responsabilità - sono però anche il segno della disfatta all'interno della Chiesa, di un suo "partito". Disfatta che avviene nel confronto con la stessa realtà che quello di Urbano VIII: il confronto con la modernità. Che i problemi rimangano e rimangano purtroppo irrisolti, come ai tempi di Galilei, traspare dal seguito del discorso, peraltro assai brillante, di Benedetto XVI. Lasciato Galileo con poche battute, il discorso volge con forza ai contenuti "forti" del Concilio, la priorità del rapporto con Dio anzitutto, e qui il Papa sottolinea come troppo spesso quest'aspetto del Concilio, il più importante ed al quale tutti gl'altri sono gregari, sia trascurato o non debitamente valorizzato. Da qui la riforma della liturgia, l'uso della lingua volgare e l'introduzione di forme atte ad una maggior partecipazione popolare. Egli sottolinea anche la fondamentalità di una crescita spirituale guidata che sola può davvero aprire alla intellezione delle scritture e senza la quale anche l'esplicitazione delle stesse nella lingua conosciuta è inutile. Sono le parti su cui il Papa si intrattiene più a lungo e da cui emerge attuale la sua insuperabilità di teologo. Infine alcune osservazioni sulla Gaudium et Spes, ma anche sull'ecumenismo e sul rapporto interreligioso con ebrei e musulmani chiude la bellissima chiacchierata. Più che il confronto con il mondo moderno, pare che il problema principale sia rimasto lo stesso che ai tempi di Urbano VIII: quello di traghettare un modello antropologico e sociale in una realtà che lo aveva sconfessato, per di più in una Chiesa al cui interno altri partiti sostenevano con forza - ed hanno poi vinto - posizioni precedenti. E, purtroppo pare che sia così anche oggi all'interno della Chiesa, dove - a fronte di qualche minoranza che vuole una "modernità" - sono in molti, forse in troppi, a volere il ritorno alla realtà preconciliare. In questa disfatta va detta poi anche una cosa - e la dico con rammarico perché mi ritengo anche un ammiratore di Ratzinger - e cioè una linea che nel tempo - e può essere qui che si tratti del mutare dei tempi per cui ciò che ieri era progressista appare oggi come conservatore - ma la linea seguita nel tempo appare - almeno a me, mi si consenta di avere eventualmente opinioni sbagliate - mi appare dicevo, ambigua. Si passa da posizioni estremamente progressiste, specie per i loro tempi, a posizioni, a ruota a Paolo VI, decisamente conservatrici, si pensi alla marginalizzazione di molti importanti teologi da parte proprio di Ratzinger, cosa di cui egli stesso ha poi ammesso di aver sbagliato, ma si pensi anche ad es. al ruolo della donna: è significativo che in tutta questa "chiacchierata" non ve ne sia traccia.
francesco latteri scholten.

lunedì 11 febbraio 2013

Benedetto XVI: non come Celestino V, bensì come Urbano VIII



Sono le prime "dimissioni" di un Papa che la Storia moderna e contemporanea possa ricordare, e perciò stesso "Storia". Testimoniano, a detta di tutti i più autorevoli osservatori - a livello mondiale, si capisce - la grande umiltà e responsabilità personale di quella che senz'altro è - e rimane - una delle più autorevoli ed importanti figure della Chiesa dell'ultimo secolo. La Chiesa tuttavia nella sua Storia, tutta, dalle origini ad oggi, non è che ne ricordi molte. Molte ne ricorda di gente che - come i ns politici - erano assai saldamente incollate alla "poltrona", al punto che spesso si è avuto anche più di un Papa, arrivando alcune volte, nello stesso tempo a contarne da 2 a 4 contemporaneamente, con quanto ne segue per la fede: la fede degli "anni di fango". L'ombra che si staglia e che subito viene a mente, salvo subito scartarla (ma ne siamo poi proprio sicuri?) non appena si tenti un accostamento, è quella di Celestino V. A guardare un pò meglio la Storia recente della Chiesa, specie dalla Rerum Novarum di Leone XIII in poi, sino ai ns. giorni, la figura senz'altro più simile per le vicissitudini dei tempi, che sono state poi quelle della Carica e della persona, è senz'altro quella di Maffeo Barberini (Firenze 1568, Roma 1644), ricordato dalla Chiesa come Papa Urbano VIII. Sì, è proprio lui, il Papa del "caso" Galilei. E' vero, non si dimise, era inconcepibile, ma restò nella carica, "sotto scacco". Il caso Galilei - di cui Urbano VIII aveva lodato con toni elevati "Il Saggiatore" - aveva infatti un retroscena ben più vasto ed ampio: da un lato il "partito" francese, cui aderiva anche Firenze (ed i suoi banchieri) e il Papa fiorentino, dall'altro il "partito" spagnolo, con i Gesuiti ed il loro "Papa nero". La contrapposizione non era semplicemente teologica, si confrontavano due visioni del mondo, due modi di essere e di vivere, e perciò - e soprattutto - due diverse economie con i rispettivi interessi. In questo gioco a prima vista a due si inseriva poi un terzo giocatore, forte e potente specie nel centro nord Europa: i Fugger, i famigerati banchieri. In questa "partita", osserva assai bene Pietro Redondi: "Con calcolo politico ed una raffinatezza psicologica che oggi è andata perduta, la ragion di Stato e la ragion di fede ricorrevano di continuo a punizioni trasposte e nascoste per dissimulare scandali ed elargire consolazioni al popolo di Dio. Esse erano arte e virtù politica delle più elevate". Ma questo, per un Vaticano sempre alquanto tradizionalista, forse non è del tutto esatto e quella ragion di Stato e ragion di fede non sono del tutto andate perdute. Anche oggi vi sono almeno due forti correnti contrapposte, quella che ha voluto - e per fortuna fatto - con Leone XIII la Rerum Novarum, poi con Giovanni XXIII il Concilio Vaticano II, infine, ne 1980 il nuovo diritto canonico, e l'altra, quella che - specie in Italia - nel secondo dopoguerra, ha trovato connotazione nella persona (e soprattutto, ahimé! negli atti) del Card. Ottaviani e nella sua politica. E' la corrente che ha fatto "fuori" Alcide De Gasperi prima, poi alla fine degli anni '70, prima del suo sequestro, Aldo Moro. La corrente che li ha sostituiti con Fanfani ed Andreotti, per con quest'ultimo introdurre e portare avanti Formigoni e CL, don Verzé, per infine sostenere Berlusconi. E' una corrente di cui la vicinanza fisica della sede romana della ex DC e quella della sede romana del Grand'Oriente dovrebbe indicare qualcosa. La vicinanza di Andreotti e Licio Gelli anche. Si dovrebbe qui riflettere anzitutto sul fatto che il presunto "progressismo e modernismo" di cui ci si vorrebbe fregiare miri invero alla restaurazione di una società settecentesca, peraltro non vicina alla concezione evangelica, specie se si considerano figure quali quelle di un certo Gesù di Nazareth, i suoi discepoli - Giuda escluso, a lui probabilmente la P2 sarebbe piaciuta - San Paolo, o anche figure più recenti quali quella di San Francesco d'Assisi. O anche figure, ad esempio, quali quella di San Benedetto, assai cara, sempre ad esempio, a Benedetto XVI che da essa ha preso il nome e la direttiva per il suo pontificato. Ora, come dopo Urbano VIII, c'e guerra aperta e totale tra i due fronti: al Conclave.
francesco latteri scholten.

sabato 9 febbraio 2013

E' ufficiale: Cina sorpassa USA (+50 Mld.). Cinesi nuovi n°1


 "Big in Japan" è stato un motivo assai celebre nelle hit parade's mondiali negli anni '80, a celebrare la grandezza del Sol Levante, ora bisognerebbe cambiarlo: Big in China, dunque ed a ragione. Mentre la Cina festeggia il passaggio dall'anno del dragone a quello del serpente, l'economia cinese è quella che avrebbe ragion d'essere la vera festeggiata: + 50 Mld rispetto a quelli degli USA. Importante è però che il riferimento non è quello di un più o meno discutibile PIL, ma quello - assai più significativo - della produzione oggettiva. Ma non è questo il solo dato economico, ve ne sono altri a corollario. L'economia USA infatti è tarata, a differenza di quella cinese, da un ben più gravoso debito pubblico, il primo al mondo (ed i primi creditori sono proprio i cinesi), e dai "derivati" che da soli ammontano a ben 750.000 Mlrd di $ (di contro il PIL USA è di circa 70.000 Mlrd di $) entrambi causa basilare dell'attuale crisi economica mondiale. Il sorpasso cinese perciò è ben più cospicuo di quanto a prima vista. Contrariamente a quanto ritenuto generalmente specie nell'opinione pubblica occidentale, il sorpasso cinese non è semplicemente dovuto al basso costo della manodopera, la quale infatti negli ultimi anni è aumentata prima del 50% e poi addirittura del 60%. A questo dato si somma quello della recente dichiarazione del governo cinese di voler incrementare ulteriormente del 40% i salari minimi onde fronteggiare le crescenti disparità economiche e sociali, a sostegno di una maggior giustizia sociale. Già prima di questa dichiarazione, che si prevede comunque attuata in tempi rapidi, la Cina non era più il Paese a produzione "Low Cost" per antonomasia, e molte imprese hanno delocalizzato al Bengladesh, all'area indocinese ed all' Africa. Da indagini economiche e di produzione industriale accurate si evince che comunque la Cina vedrà incrementata la propria leadership nel prossimo decennio e oltre. La motivazione sarebbe quella della buona qualità del prodotto cinese, meglio l'ottimo rapporto qualità / prezzo: se si vuole un prodotto migliore di quello cinese bisogna pagarlo molto di più, se invece si vuole spendere di meno si può ottenere solo un prodotto decisamente inferiore. Il serpente, anche presso i cinesi è simbolo di saggezza e di prudenza: è quanto lascia ben sperare per tutti.
francesco latteri scholten.

venerdì 8 febbraio 2013

Anche Bagnasco con la tesi montiana del "Pifferaio magico"


 Finalmente scende apertamente in campo anche la CEI, direttamente con il Card. Bagnasco, a prendere esplicitamente le distanze da Berlusconi. La tesi abbracciata è quella montiana del "Pifferaio magico" di Hamelin, ovviamente il Cardinale non si esprime con la calorosità dell'agone politico, come ha fatto Monti, né con la spregiudicatezza, l'irriverenza e la "maleducazione" di chi scrive, ma con  la sua consueta signorilità adeguata alla carica ed al ruolo ricoperti e così dichiara: "... certamente gl'italiani questa volta non si faranno di nuovo abbindolare da Berlusconi". E' dunque dichiarata una presa di distanza esplicita dal populismo e dal dirigismo berlusconiano, iniziata già peraltro da tempo, e ben prima della presente campagna elettorale, e che ha trovato il culmine nella vicenda Boffo, la ritorsione di Berlusconi alla presa di coscienza da parte della Chiesa della inconciliabilità di fondo tra il proprio credo e la realtà culturale ed economico politica di don Silvio e dei suoi. Quest'ultimo per parte sua, continua la propria campagna con "uscite choc" corollari indispensabili al populismo, e con la propugnazione di un keynesianesimo, tanto spicciolo quanto distorto e falso. Concezioni chiaramente irriducibili alla concezione cristiana dell'uomo e della società ed agli antipodi per quanto concerne la concezione economica e politica, in proposito già il titolo di una nota opera ormai già datata di Padre Bartolomeo Sorge è significativa: "Per una Civiltà dell'Amore". Proprio per questo andava fatta e con decisione - e di questo anche chi scrive è grato a S.E. il Cardinale - per illuminare, caso mai ce ne fosse stato bisogno, i cristiani meno avveduti o i più indecisi e riluttanti.
francesco latteri scholten.

mercoledì 6 febbraio 2013

USA, nuovo maxi social progetto di Obama: super Wi-Fi gratis per tutti


 E' forse ancor più ambizioso di quello della sanità, lanciato prima della prima nomination, o anche di quello della doverosa causa contro Standard & Poors, il nuovo progetto di una super "Wi-Fi zone" (internet e telefono) che copra tutti gli "States" e completamente gratuita per tutti i cittadini. A differenza però dei progetti citati, che, se da un lato incrementano notevolmente le simpatie e la popolarità, dall'altro gli creano diversi ed assai influenti nemici, la "Wi-Fi Zone" gratuita ha già procurato ad Obama il pieno sostegno di nomi di primissimo piano nel settore, quali Google, Facebook, Apple, per citare solo i più importanti. Si tratta di nomi che portano non solo sostegno politico, ma soprattutto, così pare, quegli investimenti economici che garantiscono una realizzazione concreta, ed in tempi brevi, del maxi progetto. Una super autostrada a super banda larga sembra dunque prossimamente a disposizione gratuita di tutti i cittadini americani, compiendo quel salto di qualità che la rete ormai necessita. Un fatto paragonabile per portata forse solo al primo piede sulla Luna, ma più significativo ed importante per tutti, un passo destinato a sancire, come quello, la premiership tecnologica degli USA ed a stravolgere la "rete" nei prossimi anni. Sul piano politico il progetto, a differenza che su quello economico e scientifico tecnologico, ha invece già dei nemici dichiarati: i soliti "Repubblicani", nemici anche degl'altri progetti di Obama, e sostenitori di una vincolazione forte della rete, della navigazione e della libertà di espressione appunto in rete.
francesco latteri scholten.

Cina: governo aumenta salari marginali del 40%


Si apprezza appieno il significato del gesto del governo cinese, e soprattutto le dimensioni della sua portata, se si riprende il concetto di marginalità da uno dei più grandi economisti del Novecento, John Kenneth Galbraith. Nella sua "Storia dell'economia" egli spiega bene: "Valore d'uso e valore di scambio divergevano dunque in maniera preoccupante. Come nel caso dell'acqua potabile, il valore d'uso poteva essere altissimo ed il valore di scambio bassissimo. Le pietre preziose avevano un modestissimo valore d'uso, ma un grande valore di scambio. L'enigma del valore d'uso e del valore di scambio non sarebbe stato risolto per un altro secolo e più, finché, in uno dei trionfi minori della teoria economica, non fu scoperto il concetto di utilità marginale. Secondo questo concetto quello che conta è il bisogno o uso meno urgente o marginale. L'utilità dell'acqua al margine è diminuita, pro tanto, dalla sua abbondanza; quella del diamante è mantenuta elevata dalla sua scarsità. In un deserto privo d'acqua arriverebbe il momento in cui il più grande e luccicante gioiello sarebbe scambiato con una buona sorsata: la scarsità fa miracoli anche per l'utilità marginale dell'acqua." E' dunque il valore dell'ultima e più scarsa bottiglia d'acqua a determinarne il valore di mercato. Ovviamente ciò vale per qualsiasi merce, anche per il valore di quella merce che è il valore di riferimento - già per Adam Smith - di tutte le altre: il lavoro. Valore del lavoro è il salario. Questo ci lascia immediatamente intuire cosa significhi a livello economico aumentare i salari più bassi, i salari marginali appunto. Ci lascia intuire anche, nel momento in cui ciò è operato dalla prima potenza economica mondiale, l'impatto che questa misura avrà a livello planetario. E' la testimonianza anche, come del resto tutta la storia del Novecento, che la rivoluzione proletaria non risolve le problematiche del capitalismo e non porta all'uscita da esso, ma soltranto ad uno spostamento all'interno di esso, dal capitalismo privato, al capitalismo di Stato, e che le recenti aperture al privato nei sistemi a capitalismo di Stato portino ad un equilibrio tra i due, ma sempre restando all'interno del sistema capitalistico. Ciò premesso l'azione del governo cinese segna un significativissimo passo in direzione di quella maggiore equità ed armonia sociale che tanto Marx quanto Mao auspicavano.
francesco latteri scholten.

lunedì 4 febbraio 2013

Lavoro: tra feudalfascismo e apartheid


L’annientamento dello stato sociale propagandato come riformismo progressista.
Uno dei dati fondamentali, oltre al deficit pubblico, per comprendere la situazione economica reale di un Paese, è il dato concernente il cosiddetto “lavoro autonomo”, ossia, per farla breve, delle partite IVA. Si tratta di un lavoro nel quale di “autonomo” non c’è proprio nulla: ex dipendenti licenziati e subito riassunti dalla stessa impresa come collaboratori coordinati continuativi, collaboratori a progetto e simili. Dipendenti di fatto, ma non per legge, i quali hanno tutti gl’oneri della dipendenza e nessuno dei diritti sanciti dallo Statuto del Lavoratore che è di fatto non solo aggirato ma del tutto destituito, al pari dei diritti sindacali e di tutti gl’altri. Il rapporto di lavoro che viene qui ad istituirsi è un rapporto che – al di là della legge – non è neppure linguisticcamente definibile come tale: infatti uno dei contraenti, il lavoratore, è del tutto vincolato, mentre l’altro, il datore di lavoro, è del tutto sciolto. E’ il tipo di realtà lavorativa che di fatto re istituisce il capitalismo peggiore, quello manchesteriano. Per capirci: il capitalismo al quale Adolf Hitler, tramite la mediazione di gente dello stampo di Firestone, si è ispirato nel “Mein Kampf”. In Italia questa tipologia di lavoro è una delle più massicciamente presenti (26,1%), con una percentuale che in Europa è seconda solo a quella della Grecia (36%). Oltre un quarto dei nostri lavoratori dunque non sono di fatto riconosciuti come tali. Non si tratta inoltre di lavoratori improduttivi o di lavoratori poco qualificati, al contrario, si tratta di quella fetta di mercato del lavoro alla quale è addossata la maggior parte, anche la più qualificata e qualificante del lavoro, ma che è poi esclusa da una giusta mercede. Si tratta di lavoratori chiamati a coprire quella quantità di lavoro cui poi altri percepiscono i compensi, in un meccanismo di “apartheid” dei lavoratori, e di vero e proprio neo feudalesimo. E’ il modello di “lavoro” fatto proprio dalla politica del “Partito della Libertà” (di essere schiavi) e specie dal suo ministro dell’economia, il quale insieme a tutto il partito ha addirittura coniato per esso un nuovo nome che, almeno lessicalmente, tenta di essere appetibile: “Riformismo”. Dunque quella realtà lavorativa che nega la dignità del lavoratore, lo esclude addirittura – per propria colpa, ovviamente – dallo Statuto del Lavoratore, lo espropria della propria personalità e dei propri diritti, lo immette in una realtà sociale che è la ricostituzione di quella feudal-nazi-fascista si chiama ora “Riformismo” ed è cosa buona e giusta. Chiudo con tre brevi considerazioni: a) il sistema così di fatto istituito non è classificabile né come libero, né come mercato; b) esso si caratterizza per l’abbattimento di ogni merito e la selezione dei peggiori e più incapaci e la deselezione dei migliori; c) esso distrugge il valore marginale di quella merce che anche il lavoro alla fine è, e così distrugge il mercato. Ma anche questo, per i riformisti progressisti di casa nostra, è cosa buona e giusta al pari dell’annientamento dello stato sociale: Arbeit macht Frei.
francesco latteri scholten.

domenica 3 febbraio 2013

Politica: il pifferaio magico e le sue suonate "choc".


Recentemente il Presidente Mario Monti, in un incontro ufficiale con la cancelliera tedesca Angela Merkel, ha fatto osservare - con dovizia - come l'Italia abbia non solo debitamente fatto fronte ai propri impegni, ma sia stata la "prima della classe", anzi che essa, nel 2011, sia stata addirittura il primo contribuente dell'Unione in assoluto, ed abbia versato ben 5 Mld di Euro in più. Subito qualcuno - che non senza ragione - sempre di recente Monti aveva definito il Pifferaio magico, con riferimento all'opera di Hamelin, ha attaccato la clac, grancassa e magafoni sulla cosa. Non si riesce a capire la "ratio" della cosa, essa infatti lascia interdetti appena si considera che nel 2011 al governo c'era proprio il Pifferaio con i suoi e che non solo è stato proprio lui ed i suoi a darli, ma che non se ne è reso neppure conto, anzi fino a quando - due anni dopo - lo ha notato Monti, lui - il Pifferaio - non c'aveva neanche fatto caso. Ora fa la clac e la sonata, non rendendosi conto con ciò di denunciare proprio questo. Similmente, c'è l'altra sonata "choc": dopo che ha votato, lui ed i suoi l' IMU, che senza i loro voti non ci sarebbe stata, ora "Nuntio vobis gaudium Magnum" se me votate ve risarcisco quell' "estorsione" ch'è l'IMU che io sò uno di quelli che ha votato pé "estorcervela". Ma, è credibile tutto questo? C'ha un senso? E vabbé che siamo in campagna elettorale, ma a questo punto viene a mente per forza quella che fu una delle celebri prime pagine di un giornalaccio degli anni '90, "Cuore", che, alla vigilia delle elezioni, titolava a pieno: "Il mio culo per un voto".
francesco latteri scholten.

venerdì 1 febbraio 2013

Economisti: Italia reiteratamente salvata dal vincolo esterno da fine guerra a oggi.


 La prima volta fu Bretton Woods con Alcide De Gasperi, il quale con grande capacità soprattutto politica, comprese che l'adesione del nostro Paese alle istituzioni monetarie internazionali avrebbe costituito un vincolo esterno di una forza tale da garantire l'ancoraggio dell'Italia alle economie di mercato e dunque alle istituzioni della democrazia parlamentare. La seconda volta fu negli anni settanta, quando ci fu la dichiarazione della incontrovertibilità del dollaro in oro. Con essa venne meno un riferimanto internazionale ed un baricentro per l'economia mondiale. L'Italia rischiò una corruzione profonda del proprio ordinamento, tale da espellere dal nostro ordinamento di diritto la democrazia economica, il fallito golpe del monarcofascista Valerio Borghese ne è la prova più lampante. Di nuovo: la fine della crisi coincide con un nuovo vincolo esterno: il Sistema Monetario Europeo. La terza volta è stato con Maastricht, il trattato per l'Unione Europea, con cui si delineano le linee per le liberalizzazioni ed una economia di mercato vera e funzionale, ma anche, al tempo stesso il concetto di uno Stato minimo - che in Italia ha trovato meno attecchimento che altrove, dove il salario minimo a garanzia dei senza lavoro, da noi propugnato ad es. dalla sinistra e da Grillo, è già realtà -, l'idea di un conflitto sociale che si snoda nel rispetto della stabilità dei prezzi, il concetto della creatività del lavoro, della sua capacità di innovare e della sua flessibilità. Sono stati e sono molti gl'economisti italiani autorevoli a sostenere queste tesi, tra gl'altri - già a suo tempo Guido Carli - ed anche un allora giovane economista rampante che all'ex Governatore della Banca d'Italia fu presentato già nel lontano 7 dicembre 1973: Mario Monti. Paradossalmente è esterna oggi la prima delle cause dell'attuale crisi, la quale ha le sue radici nelle "reaganomics" e "thatchernomics" dei tardi anni settanta, le quali hanno portato dapprima ad una messa da parte e poi all'abbrogazione del Glass Steagall act posto in essere all'indomani della grande crisi del "venerdì nero di Wall Street" del 1929, e quindi alla istituzionalizzazione dei "derivati" - che inizialmente erano lo 0,3% del PIL USA, oggi sono 11 volte il PIL - ed alla abolizione della distinzione tra banche e "banche casinò" ( e proprio le attuali vicissitudini di MPS sono illuminanti per entrambe le cose). E' invece interna all'Italia, come a tutto il mondo occidentale, l'altra grande causa della crisi, ovvero la delocalizzazione in Paesi a manodopera ad extra low cost operata massicciamente da tutte le imprese, dalle grandissime alle più piccole, con la conseguenza della distruzione del salario marginale in Occidente: una vera politica economica di terzomondializzazione dell'Occidente. E' tutta italiana invece una ulteriore causa di crisi, quella insita nel palese ed espresso dispregio della realtà europea e dei suoi Paesi, quella ben delineata dall'ex leader Silvio Berlusconi e dagli imprenditori a lui vicini, la quale è causa primaria del crollo dell'export italiano su quei mercati che fanno circa il 70% del nostro export a vantaggio di competitori anche extraeuropei che - differenza di noi - sono tarati da ben altri dazi. E' ben fondata, a fronte di queste realtà la valutazione di Bersani che taccia di "scemenze ridicole" quelle dell'ex leader. Il bel duetto Renzi - Bersani è - infine - quello che più lascia ben sperare per il futuro dell'Italia.
francesco latteri scholten.