venerdì 27 febbraio 2015

Grecia: 27 Mld di fuga capitali solo a gennaio, governo spaccato su riforme e rivolta dei comunisti stalinisti.


Con 542 sì, 32 no e 13 astenuti, confermati i 22.4 Mld di prestito in tre anni alla Grecia dalla Germania in un pacchetto U.E. di complessivi 110 Mld. E' perciò da una Germania che ha fatta sua l'esortazione del Ministro Schauble a sostenere la Grecia, che oggi arriva il più importante ed urgente sostegno - "aiutiamo la Grecia in misura straordinaria" ha dichiarato lo stesso Schauble - ad un Alexis Tsipras fortemente messo in discussione nella sua Grecia che lo aveva eletto a maggioranza. Proprio nella maggioranza però il dibattito sulle concessioni fatte in sede europea è accesissimo e rischia di spaccarla. Il partito comunista greco, di orientamento neostalinista è passato direttamente alla contestazione di piazza con danneggiamenti di negozi ed incendi di auto, mentre sul fronte opposto, anche se non ancora in piazza, comincia ad aleggiare di nuovo lo spettro di "Alba Dorada". I fantasmi dei due fronti opposti sono almeno in parte causa del vero danno economico, ovvero della fuga di capitali all'estero. Capitali sottratti all'investimento ed allo sviluppo del Paese e che hanno raggiunto quote addirittura superiori a quelle degl'aiuti dell'Unione Europea: nel solo mese di gennaio hanno lasciato la Grecia ben 27 Mld di Euro, un miliardo al giorno. Ovviamente, lo spostamento su conti esteri, specie in queste dimensioni, comporta una ulteriore obbligazionarietà delle Banche greche nei confronti di quelle europee (specie tedesche, mete preferite degl'investori greci), contribuendo con ulteriore impeto all'aggravamento della crisi stessa. Non è un caso dunque che la pur debole ripresa dell'economia greca +0.4% (comunque doppia del previsto) nel primo trimestre 2014, segni un'inversione di tendenza proprio in concomitanza alla massiccia ripresa della fuga di capitali a partire dal secondo trimestre 2014 ed ancora perdurante ed in incremento. Da qui la richiesta dell'Unione al Governo greco di bloccare anche normativamente lo spostamento di capitali all'estero.
francesco latteri scholten.

domenica 22 febbraio 2015

Merkel III udienza privata da Papa Francesco. Temi:Ucraina, G7, lotta alla povertà, difesa della salute.


Quaranta minuti, una durata insolitamente lunga per un'udienza privata, la terza da Papa Francesco per la Cancelliera Angela Merkel a testimonianza che la figlia di un pastore protestante ha trovato ben più affinità con il Papa latinoamericano che non con il suo predecessore tedesco. "Ho avuto la gioia di aver potuto presentare personalmente a Papa Francesco l'agenda della presidenza tedesca del G7" così la cancelliera al termine dell'incontro. L' "Agenda" invero contiene molti punti assai cari all'impegno del Pontefice quali la lotta alla povertà, il Gavi di Berlino, un programma per la produzione di vaccini (circa 7.53 Mld di Eu) per circa 300 mln di bambini dell' Africa meridionale, ma anche l'istruzione delle donne, la loro formazione professionale ed il loro ruolo nella famiglia. Tema centrale dell'incontro è stata invece la discussione della situazione in Ucraina, la presenza a Roma in questo momento dei vescovi del Paese ha infatti fatto sì che fosse possibile un ampio e fondato scambio di vedute in proposito. La conferma è data dall'incontro immediatamente successivo - un'ora circa - con il nuovo Segretario di Stato Card. Pietro Parolin ed il nuovo ministro degl'esteri vaticano Arcivescovo Paul Gallagher. Dunque lavoro intenso per una soluzione diplomatica del conflitto. L'incontro è stato preceduto la sera prima da una cena data dalla nuova Ambasciatrice tedesca presso la Santa Sede, Annette Schavan nel corso della quale si sarebbe discusso anche dei rapporti Stato Chiesa ed Islam.
francesco latteri scholten

sabato 21 febbraio 2015

Sconfitta di Varoufakis ed empasse di Tsipras.


Quattro mesi di deroga anzicché 6 e l'obbligo cogente delle riforme pena interventi della "Troika". La sfida urlata di Yanis Varoufakis si scontra alla fine con la spada di Damocle di non avere altri possibili creditori che la UE per poter pagare gli stipendi ai propri statali a fine mese. Si sbriciola anche la pretesa - sostenuta con Tsipras - di essere gl'araldi di una nuova UE connotata da un diverso programma economico a fronte del dato di fatto sia dell'inesistenza di un reale progetto economico alternativo sia dell'impossibbilità di attuarlo (qualora ci fosse stato) in tempi così ristretti. Al momento in una UE in cui praticamente tutti i Paesi membri debbono confrontarsi con debiti pubblici pericolosamente vicini al PIL l'unica prospettiva reale rimane quella avviata da Schroeder e messa in atto da Angela Merkel ovvero riformare le strutture politico legislative ed economico sociali onde favorire un massiccio investimento economico dei privati (e 315 Mld di Eu sono già in dirittura). Riforme avviate del resto già in modo tutt'altro che indolore nella stessa Germania, in itinere negl'altri Paesi - tra cui l'Italia - e già abbordate in maniera cruenta nella stessa Grecia. Al flop di Varoufakis e Tsipras - "Il bene è soltanto che si sia evitato il peggio" è il commento dell'opposizione di Nea Demokratia il cui ex Ministro Georgiadis ha twittato "l'unica linea rossa rimasta è quella del colletto della giacca di Varoufakis" - si aggiunge ora una doppia empasse estera ed interna per Tsipras. "Fuori", dopo le reiterate minacce a muso duro di non restituire i debiti - che sono valse in sede europea il distanziamento dell'Italia e l'irrigidimento di Francia e Germania - è ora più difficile trovare eventuali investitori. All' "interno" è ora praticamente impossibile portare avanti le promesse fatte ai propri elettori e si dovrà ripiegare su una politica sostanzialmente assai simile a quella del precedente governo, come fa notare il quotidiano "Kathimerini": "Il Governo greco è approdato alla realtà ed è ormai evidente il contesto asfissiante nel quale è costretto a muoversi per evitare la bancarotta e qualsiasi discussione sul fatto che la Grecia abbia avuto successo o sia incappata in una disfatta totale è non solo inutile ma anzi dannosa. La Grecia deve combattere per impedire che si perda tutto ciò che si è sinora costruito con grande impegno e fatica..."
francesco latteri scholten

domenica 15 febbraio 2015

Libia sulla via del Califfato Nero. Prodi: le colpe dell'Occidente.


Gentiloni "crociato", vi colpiremo con gli SCUD. Invitati i civili italiani a lasciare il Paese ed evacuata l'ambasciata di Tripoli. L'ISIS avanza, dopo la conquista di Sirte, verso la capitale libica. La strategia è quella già collaudata in Iraq e Siria: appropriazione dei pozzi ed attacco alle pipelines per bloccare i flussi di petrolio verso il nemico. Ieri è toccato ad una delle più importanti, quella che parte dal giacimento di Sarir con il crollo della produzione a 180.000 barili al giorno contro i 300.000 di gennaio ed i 900.000 dell'anno scorso. Paradossalmente, a quattro anni dalla sua barbara uccisione la situazione libica è esattamente quella lucidamente profetizzata da Muammar Gheddafi in una delle sue ultime interviste ai media occidentali: "Dovete scegliere tra me ed Al Qaeda..." Coscienza condivisa - tra i grandi leaders americani ed europei - sostanzialmente solo dal nostro Romano Prodi peraltro uno dei pochi conoscitori del Dossier Libia ed ex inviato ONU per il Sahel. L'orientamento fu invece quello di sostenere la rivolta contro il Colonnello libico illudendosi sull'affermazione di una "primavera araba" - molto occidentale e con connotazioni alquanto estranee a quella cultura - anche in Libia. I primi ad intervenire con i caccia furono i francesi il 19 marzo 2011. L'Italia di Berlusconi, con buona pace della grande amicizia personale che da anni legava il Presidente del Consiglio al Leader libico, seguì a ruota: Gheddafi fu ucciso barbaramente 8 mesi dopo, il 20 ottobre. La guerra fu "un errore nostro. Delle potenze occidentali. La guerra in Libia del 2011 fu voluta dai francesi per scopi che non lo so… certamente accanto al desiderio di ristabilire i diritti umani c’erano anche interessi economici, diciamo così. (...) Non era difficile prevedere che si sarebbe arrivati a questo punto, davvero non lo era neppure nel 2011 (...) Cosa bisogna fare non lo so. Oggi non lo so più, mi creda. So bene quanto si sarebbe dovuto fare dopo la caduta di Gheddafi. Bisognava mettere tutti attorno a un tavolo, invece ognuno ha pensato di poter giocare il proprio ruolo." Così Romano Prodi oggi a "Il fatto quotidiano" invocando il fare di tutto per una soluzione diplomatica: "Occorre senza dubbio uno sforzo per produrre un minimo risultato nel tentativo di fare sedere tutti gli interlocutori al tavolo e impegnare in un lavoro comune Egitto e Algeria. Non c’è altra via che non produca una situazione ancora più catastrofica di quella attuale." E' però una prospettiva sotto "échec", come mette in luce subito l'ovvia domanda di Giampiero Calapà: "Pensa che anche gli uomini incappucciati dell’Isis debbano essere fatti sedere al tavolo dei negoziati?" Risposta: "A questa domanda non posso dare una risposta perché è relativa a un presente di cui non voglio parlare." Centrato.
francesco latteri scholten

mercoledì 11 febbraio 2015

Ucraina come ex Jugoslavia? Ragioni di Putin e ipocrisie e fallimenti dell'Occidente.


L'assenza dell'Ucraina a seguito del secco no della Timochenko, il 29 maggio 2014 al palazzo di Astana nel Kazahkstan quando Vladimir Putin (Russia), Nursultan Nazarbaev (Kazahkstan) e Aleksandr Lukashenko (Bielorussia) con una stretta di mano hanno sancito la nascita dell'Unione Economica Euroasiatica (20 Mln di Kmq, e 170 Mln di abitanti) è senz'altro una delle maggiori cause della crisi Ucraina. Certo l'annessione con la forza della Crimea ed il sostegno militare aperto ai ribelli filorussi sono deprecabili. Non impeccabili però sono le pretese occidentali - da Obama a Merkel e ad Hollande - di far valere a qualunque costo un principio di unità nazionale che nella fattispecie, come già per la ex Jugoslavia, appare discutibile. Sono infatti l'ex Unione Sovietica e la "cortina di ferro" a decretare, solo in epoca recente, l'unità all'interno di uno stesso blocco di un territorio storicamente etnicamente ed economicamente eterogeneo: ad ovest dello Dnepr si è sempre stati collegati all'influsso mitteleuropeo, ad est si è sempre stati di etnia, tradizione e lingua russa e preferibilmente collegati con la Russia. Una realtà millenaria che verrebbe di fatto lesa con il preteso ricorso al principio dell'unità nazionale, tanto più se si minaccia, in caso di fallimento delle sanzioni di ricorrere alle armi. Il problema insomma è - come per la ex Jugoslavia - quello che la mappa non è il territorio, ovvero che si è creata sulla carta una presunta "Nazione", in realtà a prescindere dalle popolazioni, dalla loro etnia e dalle loro tradizioni, dalla lingua, dal contesto socioculturale e religioso: ovvero da quegli elementi che all'atto pratico sono costitutivi di una "Nazione". Elementi il cui scavalcamento è stato possibile grazie ad un fattore coercitivo esterno assai forte - la cortina di ferro - e ad una capacità politica, specie per quanto concerne la ex Jugoslavia, di un leader, Tito, di spessore. Con la caduta del muro nel 1989 ed il crollo dell'Unione Sovietica è venuto a mancare il fattore coercitivo esterno e, per l'Ucraina, l'unità nazionale ha trovato sostegno nell'adesione al modello occidentale. Questo però, dati alla mano - come ha decisamente criticato Michail Gorbaciov proprio in occasione del venticinquennale della caduta del muro - è sostanzialmente fallito nei Paesi dell'Est. Da qui l'adesione decisa in vasti strati della popolazione anche ucraina, non solo per ragioni etnico linguistico e tradizionali, ad una realtà i cui fondatori sono proprio tre leaders ex soviet fondamentalisti quali Putin, Nazarbaev e Lukashenko. E qui di nuovo l'ipocrisia "democratica" occidentale: al pari che dell'identità etnico linguistico tradizionale, se si fosse democratici bisognerebbe rispettare la diversità di scelta politica. Proprio questa però è la più cocente denuncia del fallimento del modello occidentale all'Est.
francesco latteri scholten

martedì 10 febbraio 2015

Ucraina, Call Conference Putin, Porochenko, Hollande, Merkel: maggior riconoscimento ad autonomie.


Mentre a Donetsk continuano i bombardamenti, i quattro leader, Vladimir Putin, Petro Porochenko, Francois Hollande ed Angela Merkel hanno da poco terminato la lunga "Call Conference" che era stata già programmata per questa mattina dopo l'incontro di Mosca venerdì u.s. . La dichiarazione di una riconsiderazione delle autonomie e di un loro riconoscimento decisamente maggiore ha parzialmente contribuito ad una relativa "distensione". Nella complessità delle vicende ucraine emergono infatti precipuamente due problematiche: quella etnica sempre storicamente in primo piano in quanto ad est dello Dnepr la popolazione è da sempre per oltre l'80% di etnia, lingua e tradizione russa; quella economico politica decisamente accentuatasi da quando a giugno 2014 Putin con Nazarbaev (Kazakhstan) e Lukashenko (Bielorussia) cui si sono poi aggiunti Armenia e Kirghizistan ha dato vita alla nuova Unione Economica Euroasiatica. A dispetto del nome, alquanto fuorviante, non si tratta semplicemente di una "unione economica" bensì, basta guardarne i leaders, di un progetto dalle forti e inquietanti connotazioni poltiche: tutti infatti sono noti gerarchi della ex Unione Sovietica. Che della nuova realtà sovranazionale non abbia fatto parte fin dal nascere anche l'Ucraina lo si deve alla vittoria della "infedele" Timoshenko, cui Putin ha subito risposto con l'annessione della Crimea. Dunque la soluzione classica sempre applicata nel corso della storia all'Ucraina quale rimedio panacea, ovvero di assegnare ad una più o meno diretta influenza russa i territori ad est dello Dnepr, e ad una europea quelli ad ovest come di fatto accade di nuovo oggi con con un maggior riconoscimento delle autonomie dato con la Call Conference, si rivela essere un rimedio solo parziale. Il problema vero resta infatti quello dell'adesione o meno ad un progetto sovranazionale interamente gestito da ex gerarchi sovietici. E' sostanzialmente nel "NO" della Timoshenko a questa prospettiva che si deve l'imbracciamento delle armi in Ucraina. Che il problema non sia semplicemente economico o di adesione ad una realtà economica sovranazionale testimonia anche che alla proposta recente di Putin ad Hollande ed alla Merkel di aggregare l'UE all'UEE fa da contraltare tra le diverse ad es. il finanziamento con finalità destabilizzanti del Front National di Marine Le Pen o la disponibilità nei confronti della Lega Nord e di Salvini in Italia. Così le aperture della Call Conference ad un maggior autonomismo che avevano dato qualche spiraglio seppur debole di tregua e distensione, ha fatto subito eco il "Niet" di Putin a meno che non vengano accettate le sue condizioni, preuspposto per la conferenza di mercoledì prossimo.
francesco latteri scholten

lunedì 2 febbraio 2015

Francia, primo test elettorale post attentati: sulle orme di Houellebecq.


Il passaggio di Pierre Moscovici ad Europarlamentare ne ha lasciato vacante il seggio di deputato nella Franca contea per cui domenica 1 febbraio si è proceduto al voto, il primo dopo gl'attentati alla sede di Charlie Hebdo il 7 gennaio u.s.. Sophie Montel, candidata del F.N. di Marine Le Pen ha conquistato il 32.6% confermando sostanzialmente i sondaggi che a 10 giorni dall'attentato davano il F.N. come primo partito. Archiviato dunque lo scandalo prenatalizio che aveva porato alla ribalta Putin come primo e più cospicuo finanziatore del F.N. Disattesa anche l'esortazione di Elsa Wolimski, figlia dell'omonimo vignettista di Charlie: "Adesso non andate tutti a votare Le Pen..." Il tedesco "Spiegel" in data 29.1.2015 aveva pubblicato il sondaggio francese che accreditava Marine Le Pen di una quota compresa tra il 29 ed il 31%. La Le Pen per canto suo aveva esordito subito contro il grido "Je suis Charlie" con un secco "Je ne suis pas Charlie" ed alla domanda di fondo che attanaglia la Francia dal 7 gennaio, "come è potuto accadere?" Marine ha risposto gridando in tutti i megafoni disponibili "noi l'avevamo detto ma nessuno ha voluto crederci..." ed ancora: "noi siamo gl'unici che hanno a cuore la Francia". All'attentato alla sede del celebre foglio satirico francese, del resto, la Le Pen ed il Front National danno lo stesso significato dato dai fondamentalisti islamici (attentatori inclusi): un atto di guerra contro la Francia, e "à la guerre comme à la guerre...". Ma, in un orizzonte che si connota sempre più con le assai fosche tinte dell'ultimo romanzo di Houellebecq, è purtroppo da notare ciò che in esso diceva lo stesso autore, ovvero che: va bene la politica, ma base di questa vi sono realtà più fondanti, quali quelle espresse nei concetti di Libertà, Fratellanza, Eguaglianza, Patria, Stato... Ma con queste si sono costruite realtà che sono durate alcuni secoli; con altre, quali quelle religiose si è tenuto ad es. il medioevo per mille anni ed oltre... E qui 2.000 moschee costruite solo negl'ultimi dieci anni e 150 in costruzione nell'ultimo, si ergono decise contro la Le Pen ed il F.N. Comunque sia, la progettata candidatura per le Presidenziali del 2017, superata grazie ai finanziamenti russi l'empasse economica che minacciava di affossarla sul nascere, trova ora, dopo i sondaggi, anche la prima conferma pratica della propria concretezza. 
francesco latteri scholten

Dopo il Quirinale la Mammì è tutta per il sorriso di Murdoch.


Già Giovanni Falcone stava indagando sulla società occulta estera "All Iberian" facente capo a Silvio Berlusconi e dalla quale partirono circa 23 Mld all'indomani dell'approvazione della legge Mammì (6 agosto 1990) la quale consegnava di fatto il monopolio mediatico italiano al futuro leader della futura F.I. e futuro Presidente del Consiglio. Sergio Mattarella, da sabato XII Presidente della Repubblica, all'epoca Ministro, pur di non votarla si dimise il 27 luglio. Monopolio mediatico per istituire quello politico a sua volta sostegno di un impero economico e garante di normazioni che sostenessero anche il primo. Un circolo quasi perfetto, di cui anche le ultime elezioni al Colle più alto denunciano tuttavia la rottura. 105 schede bianche sono decisamente al di sotto di quelli che avrebbero dovuto essere i propri sostenitori politici a dimostrazione che ormai non si controllano neppure più quelli: i topi hanno sempre abbandonato per tempo la nave che affonda. Non sono del resto gl'ultimi accadimenti politici - peraltro abbondantemente previsti dallo stesso Berlusconi - a rendere datata la Mammì. C'è anzitutto la sua data cronologica, riprovata prima dalla nascita e soprattutto dall'estensione di internet, ma anche dall'irruzione delle Pay TV, segnatamente Sky, cui una normazione evidentemente solo tarata sulle altre emittenti nazionali, non riesce a porre alcun argine. La sola Sky Italia (valore stimato 3 Mld) assurge così a circa il triplo di Mediaset Premium (circa 1 Mld) : oltre 4 Mln di abbonati contro il 1,7 Mln di Mediaset. Se tuttavia la Mammì non ha arginato Murdoch, lo ha fatto il mercato, con una perdita di oltre 200.000 abbonati negl'ultimi anni. Di più: Don Silvio è riuscito ad aggiudicarsi l'esclusiva per ben tre anni, a partire dal 2015, dei diritti per la Champions League il che dovrebbe garantire un ulteriore travaso di circa 500.000 abbonati da Sky a Mediaset Premium. Dunque se Sparta piange, anche Atene ha qualche problema ed è probabilmente il motivo per cui il "vecchio amico" Rupert ha accettato di incontrare Berlusconi. Da parte sua Murdoch ha una doppia spada di Damocle per il boss di Mediaset, costituita a) dal fatto che la crisi dei canali Pay rischia di trascinare anche le TV "in chiaro"; b) dall'intenzione del boss australiano di irrompere appunto anche nel settore "in chiaro" mettendo a rischio il "patto del nazareno" che non sarebbe un patto politico bensì semplicemente un accordo per cui la Rai evita una vera concorrenza a Mediaset. 
francesco latteri scholten