mercoledì 30 gennaio 2013

In memoria di Giordano Bruno: Febbraio 1600, Campo dei Fiori, Roma.


Il rogo di Giordano Bruno e la crocefissione di ns Signore Gesù Cristo per ordine dei rispettivi sommi sacerdoti dell’epoca, dopo un processo farsa contro persone che ben si sapevano non solo oneste e per bene ma Sante, le cui radici vanno ricercate in motivazioni squallide, umanamente abbiette dettate da feroce demonia. Io voglio commemorarlo così, con una narrazione avvincente originante dalla giustapposizione di testi bruniani con quelli delle scritture.

“A Bruno, qui ove il rogo arse“: Campo dei fiori, Roma 17 febbraio a.D. MDC.

“… la luna orbita intorno alla terra ed essa intorno al sole, in quest’universo con tanti soli, lune, terre, vasto e silente, senza centro né confine, il cui Spirito tutto e tutti permea e di tutto e tutti partecipa… Che la tenebrosa terra la quale sin dal principio, rattiene l’ondeggiante massa delle acque, si muova dalla sua sede e voli verso gl’astri, te ne supplico o Sole. E, voi, o mobili stelle, mirate a me, mentre avanzo verso il duplice cielo, giacché siete voi che mi avete aperto il cammino. Ed i vostri giri facciano aprirsi avanti a me, che corro gli spazi, le porte del sonno: quel che l’avaro tempo ha lungamente tenuto celato sia a me concesso trarre alla luce dalla densa tenebra. Che cosa ti vieta o mente travagliata, di venire ormai a partorire il vero, anche se tu lo largisca ad un secolo indegno? Benché il flutto delle ombre sommerga la terra, tu mio Olimpo, fa splendere la tua cima nel mio limpido cielo… E’ dunque l’universo uno, infinito, immobile… è talmente forma che non è forma; è talmente materia che non è materia; è talmente anima che non è anima: perché è il tutto indifferentemente e però è uno… comprende tutto, e non patisce altro ed altro essere e non comporta seco né in sé mutazione alcuna; per conseguenza, è tutto quello che può essere: ed in lui non è differente l’atto dalla potenza… perché l’infinito è tutto quello che può essere… Sotto la comprensione dell’infinito non è parte maggiore e parte minore: perché alla proporzione de l’infinito non si accosta più una parte quanto si voglia maggiore che un’altra quanto si voglia minore: e però ne l’infinita durazione non differisce la ora dal giorno, il giorno da l’anno, l’anno dal secolo, il secolo dal momento: perché non son più gli momenti e le ore che gli secoli e non hanno minor proporzione quelli che questi a l’eternità. Similmente ne l’immenso non è differente il palmo dal stadio, il stadio da la parasanga: perché a la proporzione  de la immensitudine non più ti accosti per le parasanghe che per i palmi… A la proporzione, similitudine, unione ed identità de l’infinito non più ti accosti con l’essere uomo che formica, una stella che un uomo; perché a quello essere non più ti avvicini con essere sole, luna, che un uomo o una formica; e però ne lo infinito queste cose sono indifferenti…”
Per questo, per questa sua vastità di pensiero, era stato professore in Inghilterra, in Francia, in Germania, in Svizzera, nelle università più prestigiose. Per questo era stato provato nel corpo e nello spirito da una lunga e tormentosa prigionia, ed era, ora, sempre per questo condotto in ceppi. Un traditore, Giovanni Mocenigo, l’aveva consegnato nelle mani delle guardie del sommo sacerdote:
“… per obbligo de la sua coscienza e per ordine del suo confessore.”
Tra le preghiere dei sacerdoti, mentre lo si conduceva verso la grande  catasta di legna al centro della piazza - già prima settenari di quattro ordini diversi avevano cercato “con ogni affetto e con molta dottrina” di rimuovergli dall’intelletto quei “mille errori e vanità” - qualcuno gl’avvicinò una croce perché si ravvedesse.
“In coscienza, nulla ho da rimproverarmi e nulla ho commesso. Muoio martire e volentieri e con il fumo di codesto rogo ascenderà l’anima mia al cielo…"
I polsi e le caviglie gli dolevano per i legacci, l’odore singolare, penetrante, della legna tagliata fresca e ben unta gli s’impregnò nelle narici. Si continuò a pregare, poi si pregò ancora. Qualcuno di nuovo gl’accostò una croce. La guardò per un istante.
“Amerai il prossimo tuo come te stesso… Maestro, questa donna è stata sorpresa in fragrante adulterio. Ora, nella legge, Mosé ci ha comandato di lapidare tali donne. Tu, che ne dici? Gesù, chinatosi, tracciava dei segni per terra con il dito. Siccome insistevano nell’interrogarlo si levò e disse loro: Quello di voi che è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei. Quelli, udito ciò, presero a ritirarsi uno dopo l’altro a cominciare dai più anziani, e fu lasciato solo con la donna. Levatosi allora le disse: Donna dove sono? Nessuno ti ha condannata? Rispose: nessuno, Signore. Neppure io ti condanno.”
“Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che gl’appartiene. Poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho eletti dal mondo, per questo il mondo vi odia”. “… viene anzi l’ora in cui chi vi ucciderà penserà di rendere un culto a Dio.”
"Allora uno dei dodici, quello chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: Quanto volete perché io ve lo consegni? Essi gli stabilirono trenta monete d’argento. … Conducono via allora Gesù da Caifa (sommo sacerdote in quell’anno) al pretorio. Gli dice Pilato: che cosa è la verità? Detto questo uscì di nuovo dai giudei e dice loro: io non trovo in lui alcun capo di accusa."
Riguardò la croce.
L’epilogo:
”Fissata dunque una spugna imbevuta di aceto ad un ramo di issopo gliela accostarono alla bocca.”
Rimirò la croce.
Come Lui, scostò il capo e lo chinò. Chiuse gl’occhi.
“O tempo, vecchio, lento e celere, che chiudi e riapri, dovremo dirti un bene o un male? Sei largo insieme e tenace; i doni che porgi ritogli; quel che fai nascere uccidi, e quel che dal tuo ventre generi nel tuo ventre divori, tu cui è lecito colle fauci consumar il frutto del tuo seno. Tutto crei e tutto distruggi: non potrei dunque chiamarti un bene e chiamarti un male? Ma quando mi sorprenderai con il rapido colpo mortale, colla minacciosa falce, lasciami tender le mani là dove non appar vestigio del nero Caos: così non apparirai buono, non apparirai malvagio.”
“Che cos’è la verità?”
Una mano appiccò il fuoco.
   *   *   *  
Dal verbale redatto dai confortatori della Compagnia di S. Giovanni Decollato in data 17 febbraio 1600:
“Giordano, del quondam Giovanni Bruno frate apostata da Nola di regno eretico impenitente il quale … aggirandosi il cervello e l’intelletto in mille errori e vanità, ed ansi perseverò nella sua ostinazione che da ministri di giustizia fu condotto in Campo dei Fiori e quivi spogliato nudo e legato ad un palo fu bruciato vivo, accompagnato sempre dalla nostra Compagnia cantando le litanie e li confortatori sino al ultimo. Confortandolo allassar la sua ostinazione con la quale finalmente finì la sua misera ed infelice vita.”
francesco latteri scholten

martedì 29 gennaio 2013

Ustica: 32 anni per la verità di subito e del "Picconatore".


Dopo 32 anni una sentenza civile mette - finalmente! - una pietra miliare. La magistratura penale attende ancora a pronunciarsi. Invero, lo si era saputo da subito e la conferma della certezza era giunta al massimo due settimane dopo, quando i resti di un Mig libico erano stati ritrovati sull'Appennino calabro: nei cieli del Mediterraneo era avvenuta una battaglia aerea, "Caccia" della NATO avevano tentato di colpire uno dei velivoli libici a bordo del quale si presumeva si trovasse il Leader Libico Gheddafi, grande alleato sia dell'Italia che della Francia. Pare che i piloti libici - con destrezza - si siano fatti scudo dell'aereo civile dell' Itavia che si trovava in zona, e che finì centrato al posto loro. Ovviamente, iniziano le "sceneggiate" dei nostri servizi deviati e non, insieme - more solito - a quella di altri Paesi: tracciati radar e altre prove che spariscono, casi strani, controcasi etc. Il romanzo di sempre. Uno solo - tanto per cambiare - si distanzia, ma non è uno qualsiasi, né lo fa "per caso". Si tratta nientemeno che del primo cittadino d'Italia, del Presidente della Repubblica in carica Francesco Cossiga. Non lo fa per caso bensì per minaccia ed intimidazione, infatti è stato chiesto contro di lui l' "impeachment" perché si è rifiutato di controfirmare provvedimenti antimafia, e così il nostro ha cominciato a "picconare", e tra le picconate c'è appunto quella per cui l'aereo caduto ad Ustica sia stato colpito da un missile. Su questo, ieri, finalmente, la magistratura ha sentenziato che le prove non lascino adito a dubbi. Invero le prove erano più volte state messe in discussione, erano sparite etc: sceneggiata corollario. Insomma, ora che Gheddafi è stato ammazzato si può anche dire che Paesi suoi "amici" la Francia in primis - e pare che il missile fosse francese -, ma anche l'Italia si siano cimentati in un Blitz per ammazzarlo: un gesto insomma di vera e profonda amicizia. In molti si sono occupati del "caso", qualche giornalista ha pensato di occuparsene da vicino, sembra, ma su questo si vada alle testimonianze usate per un noto film, che alte autorità, vicine ai servizi, abbiano calorosamente incoraggiato tali giornalisti. In particolare, all'obbiezione di uno di loro, "... ma si tratta di 81 morti", dette autorità avrebbero risposto laconiche: "Appunto, veda di non farli diventare 82 ...". Comunque sia, almeno i familiari delle vittime ora, per sentenza, meglio tardi che mai, avrebbero diritto ad un risarcimento. Per intanto però nulla si dice di Itavia, l'allora fiorente e rampante piccola compagnia aerea italiana, che a seguito proprio della vicenda di Ustica fu costretta a chiudere i battenti. Ma tant'è.
francesco latteri scholten.

domenica 27 gennaio 2013

La Shoah c'è stata (e più vasta di quanto si dica) ed è intrinseca al nazifascismo.


Ricorre l'anniversario dell'ingresso delle truppe sovietiche ad Auschwitz. E' data della doverosa memoria di un orrore immane, della necessità di ricordare perchè non si abbia a ripetere, come bene ha sottolineato Benedetto XVI. L'orrore invero è ancor più grande di quanto non si voglia comunemente ammettere. E' nel marzo del 1923, pochi mesi dopo la marcia su Roma, 28 ottobre 1922, che si giunge alla fusione tra nazionalisti - o, tout court nazisti - e fascisti. Già un anno dopo, il 10 giugno 1924, c'è l'attentato a Giangiacomo Matteotti. Adolf Hitler è Cancelliere il 30 gennaio 1933, l'incendio del Reichstag è successivo di un mese: 27 febbraio. Come già l'attentato a Matteotti aveva sottolineato in Italia, i primi a fare le spese dell'ascesa al potere del nuovo regime saranno anzitutto i nemici politici, nei confronti dei quali sarà attuata la persecuzione e la deportazione in massa. Sono sgnificative le date: 2 maggio 1933: scioglimento dei sindacati; giugno 1933: scioglimento dei partiti; luglio 1933 bandiera con la svastica, eliminazione degli avversari politici ed istituzione dei campi di concentramento. I campi di concentramento dunque sono istituiti anzitutto per l'eliminazione dei nemici politici del regime che saranno anche i primi a trovarvi posto. Secondo le stime si tratta di cifre comprese tra 1.2 ed 1,7 Mln di persone. Sono aggiunti a ruota i "sessualmente diversi" -"cosa che sempre si ignora", come giustamente ha osservato Pasolini, abbondantemente oltre mezzo milione di persone. Seguono ancora le "vite indegne di essere vissute", e non si trattava solo degli affetti da sindrome di Down. Infine, siamo al settembre 1935, sono proclamate le leggi di Norimberga "per la protezione del sangue e dell'onore etc." con le quali iniziano le persecuzioni antisemite: l'incendio organizzato di tutte le sinagoghe è della notte dal 10 all' 11 novembre 1938. Il "decalogo della pura razza italiana", al cui seguito iniziano le persecuzioni nel ns. Paese, è invece del luglio 1938. Esito di queste leggi saranno altri sei Mln di morti. La valutazione più "Vera", se questo vocabolo di fronte ad un simile e senza pari orrore può ancora avere un significato, rimane - a mio giudizio -, tra le tante, quella di Theodor Adorno ne "La dialettica del negativo": "noi viviamo dopo Auschwitz e il testo che la filosofia deve leggere è incompleto, pieno di contrasti e lacunoso e molto vi può essere attribuito alla cieca demonia." Ad Auschwitz finisce la Storia dell'uomo perché ciò non può più essere definito umano, ad Auschwitz finisce la Filosofia perché "la Ragione diventa impotente ad afferrare il Reale, non per la sua propria impotenza, ma perché il reale non è Ragione ..." Ad Auschwitz insomma è stata anche fucilata la "civetta della Minerva" di hegheliana memoria. Auschwitz non è una fine, ma "La Fine": la fine di tutto. Io sono orgoglioso di essere figlio di "una vita indegna di essere vissuta."
francesco latteri scholten.

venerdì 25 gennaio 2013

Perché invece dell'anniversario di Agnelli non celebrare quello di Cuccia?


Se ne vuole fare quasi un bis di quello - invero anch'esso meno luminoso di quanto lo si dipinga - del primo Agnelli, il fondatore della Fabbrica Italiana Automobili Torino. Non si tratta qui nè di essere degli adulatori, o, inversamente, dei detrattori, ma, semplicemente di cercare di dare un quadro che tenti di essere onesto. Ebbene, il ritratto dell' "Avvocato" ne esce non privo di ombre e fosche tinte. Passi l'essere il "principe" di quella che con esattezza e piglio giornalistico Eugenio Scalfari ha definito "razza padrona", passino le innumerevoli "avventure galanti" - peraltro sempre portate avanti e vissute con decenza ed anzi signorilità - ma da qui a farne il grande capitano d' industria, uno dei salvatori dell' Italia etc. ne corre. Anzi, è proprio su questo che è necessario fare qualche chiarezza. Quando a fine anni '60 ed inizio anni '70 la FIAT era sull'orlo del tracollo, con prodotti - eccettuata la 124, auto dell'anno - decisamente obsoleti, l' "Avvocato", la FIAT voleva a qualunque costo cederla, non ritenendo, già allora, proficuo investire ancora nel settore, vista anche la "bassa" remunerazione degli investimenti se paragonati a quelli di altri settori. Fu proprio Enrico Cuccia, il Patron della finanza italiana, quella buona, non quella dei derivati e altra spazzatura e porcherie, a credere - e fermamente - nella FIAT. Soprattutto nel progetto che sarà poi la 127, una Golf un pò più piccola per farle concorrenza dal basso. Un progetto vincente con cui FIAT divenne il primo costruttore estero sul mercato tedesco. Il successo fu bissato con la Uno, anch'essa fortemente voluta da Cuccia. Enrico Cuccia, cattolico, conosceva bene il primo comandamento: "Io sono il Signore tuo Dio, non avrai altro Dio all'infuori di me." Sapeva bene che il principe dei padroni di "razza padrona" non gliel'avrebbe mai perdonata perché mai avrebbe ammesso il salvataggio da parte di un "servo", e, difatti, la notizia della sua morte fu commentata da una sola e scarna frase: una vergogna. Cuccia, invero, l'aveva fatto per centinaia di migliaia di lavoratori italiani e per le loro famiglie, ed infatti, richiestone in un'intervista, se si aspettasse gratitudine da Agnelli, aveva diniegato. Perché allora un Presidente della Repubblica, per di più proveniente dalla "Sinistra", deve recarsi ad omaggiare la tomba di un industriale (che pare fosse anche ... ma lasciamo stare), privo di scrupoli, che sarebbe stato ben lieto, in vista com'era di un maggior guadagno, di buttare via FIAT fregandosene dei lavoratori italiani e dell'Italia, di cui si è ricordato solo nella misura in cui ha potuto spremere denari, con la minaccia della tragedia lavorativa? Perché non celebrare invece chi ha operato davvero per gli operai, per l'industria e per la finanza italiana e per l'Italia, perché non celebrare un infinitamente più degno Enrico Cuccia? Ma è la moda: Napolitano si è accodato, si è di "Sinistra", ma poi si celebrano politiche industriali prive di scrupoli di destra, si è radicali, altro recente caso, e poi a oltre ottant'anni suonati ci si mette con la destra radicale che nulla ha mai avuto a che spartire con il movimento radicale internazionale, si è pagliacci provenienti dalla sinistra e ci si mette con "Casa Pound". Io, invece, da cittadino, chiedo, che a nome di tutti gl'italiani, finalmente, un Presidente vada a portare una corona anche ad Enrico Cuccia perché la merita (e molto più di qualche squallido ...).
francesco latteri scholten.

giovedì 24 gennaio 2013

"Sono contro l'aborto" di Pier Paolo Pasolini.


"Io sono per gl'otto referendum del partito radicale, e sarei disposto ad una campagna anche immediata in loro favore. Condivido col partito radicale l'ansia della ratificazione, l'ansia cioé del dar corpo formale a realtà esistenti: che è il primo principio della democrazia. Sono però traumatizzato dalla legalizzazione dell'aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell'omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano - cosa comune a tutti gl'uomini - io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. Mi limito a dir questo, perché, a proposito dell'aborto, ho cose più urgenti da dire. Che la vita è sacra è ovvio: è un principio più forte ancora che ogni principio della democrazia, ed è inutile ripeterlo. La prima cosa che vorrei invece dire è questa: a proposito dell'aborto, è il primo, e l'unico, caso in cui i radicali e tutti gl'abortisti democratici più puri e rigorosi, si appellano alla Realpolitik e quindi ricorrono alla prevaricazione "cinica" dei dati di fatto e del buon senso. Se essi si sono posti sempre, anzitutto, e magari idealmente (com'è giusto), il problema di quali siano i "principi reali" da difendere, questa volta non l'hanno fatto. Ora, come essi sanno bene, non c'è un solo caso in cui i "principi reali" coincidano con quelli che la maggioranza considera propri diritti. Nel contesto democratico, si lotta, certo per la maggioranza, ossia per l'intero consorzio civile, ma si trova che la maggioranza, nella sua santità, ha sempre torto: perché il suo conformismo è sempre, per propria natura, brutalmente repressivo. Perché io considero non "reali" i principi su cui i radicali ed in genere i progressisti (conformisticamente) fondano la loro lotta per la legalizzazione dell'aborto? Per una serie caotica, tumultuosa e emozionante di ragioni. Io so intanto, come ho detto, che la maggioranza è già tutta, potenzialmente, per la legalizzazione dell'aborto (anche se magari nel caso di un nuovo referendum molti voterebbero contro, e la "vittoria" radicale sarebbe meno clamorosa). L'aborto legalizzato è infatti - su questo non c'è dubbio - una enorme comodità per la maggioranza. Soprattutto perché renderebbe ancora più facile il coito - l'accoppiamento eterosessuale - a cui non ci sarebbero più praticamente ostacoli. Ma questa libertà del coito della "coppia" così com'è concepita dalla "maggioranza" - questa meravigliosa permissività nei suoi riguardi - da chi è stata tacitamente voluta, tacitamente promulgata e tacitamente fatta entrare, in modo ormai irreversibile, nelle abitudini? Dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo. Esso si è impadronito delle esigenze di libertà, diciamo così, liberali e progressiste e, facendole sue, ha cambiato la loro natura. Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un'ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore. Insomma, la falsa liberalizzazione del benessere, ha creato una altrettanto e forse più insana che quella dei tempi della povertà. Infatti: primo risultato di una libertà sessuale "regalata" dal potere è una vera e propria generale nevrosi. La facilità ha creato l'ossessione; perché è una facilità "indotta" e imposta, derivante dal fatto che la tolleranza del potere riguarda unicamente l'esigenza sessuale espressa dal conformismo della maggioranza. Protegge unicamente la coppia (non solo, naturalmente, matrimoniale): e la coppia ha finito dunque col diventare una condizione parossistica, anziché diventare segno di libertà e felicità (com'era nelle speranze democratiche). Secondo: tutto ciò che sessualmente è "diverso" è invece ignorato e respinto. Con una violenza pari solo a quella nazista dei lager (nessuno ricorda mai, naturalmente, che i sessualmente "diversi" sono finiti là dentro). E' vero; a parole, il nuovo potere estende la sua tolleranza anche alle minoranze. Non è magari da escludersi che, prima o poi, se ne parli pubblicamente. Del resto le élites sono molto più tolleranti verso le minoranze sessuali che un tempo e certo sinceramente (anche perché ciò gratifica le loro coscienze). In compenso l'enorme maggioranza (la massa: cinquanta milioni di italiani) è divenuta di una intolleranza così rozza, violenta e infame, come non è certo mai successo nella storia italiana. Si è avuto inquesti anni, antropologicamente, un enorme fenomeno di abjura: il popolo italiano, insieme alla povertà, non vuole neanche più ricordare la sua "reale" tolleranza: esso, cioé, non vuole più ricordare i due fenomeni che hanno caratterizzato l'ntera sua storia. Quella storia che il nuovo potere vuole finita per sempre. E' questa stessa massa (pronta al ricatto, al pestaggio, al linciaggio delle minoranze) che, per decisione del potere, sta ormai passando sopra la vecchia convenzione clerico-fascista ed è disposta ad accettare la legalizzazione dell'aborto e quindi l'abolizione di ogni ostacolo nel rapporto della coppia consacrata. Ora tutti, dai radicali a Fanfani (che stavolta, precedendo abilmente Andreotti, sta gettando le basi di una sia pur prudentissima abjura teologica, in barba al Vaticano), tutti, dico, quando parlano dell'aborto, omettono di parlare di ciò che logicamente lo precede, cioé il coito. Omissione estremamente significativa. Il coito - con tutta la permissività del mondo - continua a restare tabù, è chiaro. Ma per quanto riguarda i radicali la cosa non si spiega certamente col tabù: essa indica invece l'omissione di un sincero, rigoroso e completo esame politico. Infatti il coito è politico. Dunque non si può parlare politicamente in concreto dell'aborto, senza considerare come politico il coito. Non si possono vedere i segni di una condizione sociale e politica nell'aborto (o nella nascita di nuovi figli) senza vedere gli stessi segni anche nel loro immediato precedente, anzi, nella sua "causa", nel coito. Ora il coito di oggi sta diventando, politicamente, molto diverso da quello di ieri. Il contesto politico di oggi è già quello della tolleranza (e quindi il coito un obbligo sociale) mentre il contesto politico di ieri era la repressività (e quindi il coito, al di fuori del matrimonio era scandalo). Ecco dunque un primo errore di Realpolitik, di compromesso col buon senso, che io ravviso nell'azione dei radicali e dei progressisti nella loro lotta per la legalizzazione dell'aborto. Essi isolano il problema dell'aborto, coi suoi specifici dati di fatto, e perciò ne danno un'ottica deformata: quella che fa loro comodo (in buona fede, su questo sarebbe folle discutere). Il secondo errore, più grave, è il seguente. I radicali e gli altri progressisti che si battono in prima fila per la legalizzazione dell'aborto - dopo averlo isolato dal coito - lo immettono in una problematica strettamente contingente (nella fattispecie, italiana), e, addirittura, interlocutoria. Lo riducono a un caso di pura praticità, da affrontare appunto con spirito pratico. Ma ciò (come essi sanno bene) è sempre colpevole. Il contesto in cui bisogna inserire il problema dell'aborto è ben più ampio e va ben oltre l'ideologia dei partiti (che distruggerebbero se stessi se l'accettassero: cfr. Breviario di ecologia di Alfredo Todisco). Il contesto in cui va inserito l'aborto è quello appunto ecologico: è la tragedia demografica, che, in un orizzonte ecologico, si presenta come la più grave minaccia alla sopravvivenza dell'umanità. In tale contesto la figura - etica e legale - dell'aborto cambia forma e natura: e, in un certo senso, può anche esserne gratificata una forma di legalizzazione. Se i legislatori non arrivassero sempre in ritardo, e non fossero cupamente sordi all'immaginazione per restare fedeli al loro buon senso e alla propria astrazione pragmatica, potrebbero risolvere tutto rubricando il reato dell'aborto in quello più vasto dell'eutanasia, privilegiandolo di una particolare serie di "attenuanti" di carattere appunto ecologico. Non per questo cesserebbe di essere formalmente un reato e di apparire tale alla coscienza. Ed è questo il principio che i miei amici radicali dovrebbero difendere, anzicché buttarsi (con onestà donchisciottesca) in un pasticcio, estremamente sensato ma alquanto pietistico, di ragazze madri o di femministe angosciate in realtà da "altro" (e di più grave e serio). Qual'è il quadro, in realtà, in cui la nuova figura del reato di eutanasia, dovrebbe iscriversi? Eccolo: un tempo la coppia era benedetta, oggi è maledetta. La convenzione e i giornalisti imbecilli continuano a intenerirsi sulla "coppietta" (in tal modo, abominevolmente, la chiamano), non accorgendosi che si tratta di un piccolo patto criminale. E così i matrimoni: un tempo essi erano feste, e la stessa loro istituzionalità - così stupida e sinistra - era meno forte del fatto che lì istituiva, un fatto, appunto, felice, festoso. Ora invece i matrimoni sembrano tutti dei grigi e affettati riti funebri. La ragione di queste cose terribili che dico è chiara: un tempo la "specie" doveva lottare per sopravvivere, quindi le nascite "dovevaono" superare le morti. Quindi ogni figlio che un tempo nasceva, essendo garanzia di vita, era benedetto: ogni figlio che invece nasce oggi, è un contributo all'autodistruzione dell'umanità, e quindi è maledetto. Siamo così giunti al paradosso che ciò che si diceva contronatura è naturale, e ciò che si diceva naturale è contronatura. Ricordo che De Marsico (collaboratore del Codice Rocco) in una brillante arringa in difesa di un mio film, ha dato del "porco" a Braibanti dichiarando inammissibile il rapporto omosessuale in quanto inutile alla sopravvivenza della specie: ora, egli, per essere coerente, dovrebbe, in realtà, affermare il contrario: sarebbe il rapporto eterosessuale a configurarsi come un pericolo per la specie, mentre quello omosessuale ne rappresenta una sicurezza. In conclusione: prima dell'universo del parto e dell'aborto c'è l'universo del coito: ed è l'universo del coito a formare e condizionare l'universo del parto e dell'aborto. Chi si occupa politicamente dell'universo del parto e dell'aborto non può considerare ontologico l'universo del coito - e non metterlo dunque in discussione - se non a patto di essere qualunquistico e meschinamente realistico. Ho già abbozzato come si configura oggi in Italia l'universo del coito, ma voglio, per concludere, riassumerlo. Tale universo include una maggioranza totalmente passiva e nel tempo stesso violenta, che considera intoccabili tutte le sue istituzioni, scritte e non scritte. Il suo fondo è tutt'ora clerico-fascista con tutti gl'annessi luoghi comuni. L'idea dell'assoluto privilegio della normalità è tanto naturale quanto volgare e addirittura criminale. Tutto vi è precostituito e conformistico, e si configura come un "diritto": anche ciò che si oppone a tale "diritto" (compresa la tragicità e il mistero impliciti nell'atto sessuale) viene assunto conformisticamente. Per inerzia la guida di tutta questa violenza maggioritaria è ancora la Chiesa cattolica. Anche nelle sue punte progressiste e avanzate (si legga il capitoletto, atroce, a pag. 323 de La Chiesa e la sessualità del progressista e avanzato S.H. Pfurtner). Senonché... senonché nell'ultimo decennio è intervenuta la civiltà dei consumi, cioé un nuovo potere falsamente tollerante che ha rilanciato in scala enorme la "coppia" privilegiandola di tutti i diritti del suo conformismo. a tale potere non interessa però una coppia creatrice di prole (proletaria), ma una coppia consumatrice (piccolo borghese): in pectore, esso ha già l'idea della legalizzazione dell'aborto (come aveva già l'idea della ratificazione del divorzio). Non mi risulta che gli abortisti, in relazione al problema dell'aborto, abbiano messo in discussione tutto questo. Mi risulta invece che essi, in relazione all'aborto, tacciano del coito, e ne accettino dunque - per Realpolitik, ripeto, in un silenzio dunque diplomatico e dunque colpevole - la sua totale istituzionalità, irremovibile e "naturale". La mia opinione estremamente ragionevole invece è questa: anzicché lottare contro la società che condanna l'aborto repressivamente, sul piano dell'aborto, bisogna lottare contro tale società sul piano della causa dell'aborto, cioé sul piano del coito. Si tratta - è chiaro - di due lotte "ritardate" : ma almeno quella sul "piano del coito" ha il merito, oltre che di una maggiore logicità e di un maggiore rigore, anche quello di un'infinitamente maggiore potenzialità di implicazioni. C'è da lottare, prima di tutto contro la falsa tolleranza del nuovo potere totalitario dei consumi, distinguendosene con tutta l'indignazione del caso; poi c'è da imporre alla retroguardia, ancora clerico-fascista, di tale potere, tutta una serie di liberalizzazioni "reali" riguardanti appunto il coito (e dunque i suoi effetti): anticoncezionali, pillole, tecniche amatorie diverse, una moderna moralità dell'onore sessuale etc.. Basterebbe che tutto ciò fosse democraticamente diffuso dalla stampa e soprattutto dalla televisione, e il problema dell'aborto verrebbe in sostanza vanificato, pur restando, come deve essere, una colpa, e quindi un problema della coscienza. Tutto ciò è utopistico? E' folle pensare che una "autorità" compaia al video reclamizzando "diverse" tecniche amatorie? Ebbene, non sono certo gl'uomini con cui io qui polemizzo che debbono spaventarsi di questa difficoltà. Per quanto io ne so, per essi ciò che conta è il rigore del principio di democratico, non il dato di fatto (com'è invece brutalmente, per qualsiasi partito politico). Infine molti - privi della virile e razionale capacità di comprensione - accuseranno questo mio intervento di essere personale, particolare, minoritario. Ebbene?"
Pier Paolo Pasolini   (Corriere della Sera, 19 gennaio 1975)

lunedì 21 gennaio 2013

Lincoln: il Presidente più grande, ora con la regia di Spielberg


"Libertà ed eguaglianza di tutti gl'uomini secondo i dettami del diritto naturale; sovranità  popolare; diritto di resistenza contro i regimi tirannici", lo dettavano, già il 4 luglio 1776, la "Dichiarazione d'indipendenza" delle tredici Colonie Unite e la "Dichiarazione dei Diritti". E per questo dal 1776 al 1783 ci sarà la guerra d' "Indipendenza", il 1783 la "Pace di Versailles", e, nel 1789, la "Costituzione degli Stati Uniti d' America", con la proclamazione solenne degli stessi principi da parte di Giorgio Washington, il primo Presidente. Ma le dichiarazioni non bastano e così, con buona pace loro, di fatto alcuni sono "più uguali di altri", specie se gli alcuni sono bianchi e gl' "altri" sono neri. Accade così che proprio i Paesi che potevano fregiarsi del Bill of Rights, potessero fregiarsi anche di qualcosa di ben peggiore della servitù della gleba che connotava la realtà dei Paesi europei: la schiavitù. Essa fa a pugni con le dichiarazioni e la "Costituzione", ma se si eccettuano le ricche zone del Nord Est degli States, costituisce uno dei principali nerbi dell'economia reale. Lo sapeva bene anche un brillante giovane avvocato prima e deputato poi: Abraham Lincoln (nato il 12 febbraio 1809 nel Kentucky), il quale proprio per questo si era distanziato dall'intransigentismo di quanti volevano l'abbrogazione immediata, per sostenerne una graduale e politicamente assai più realistica. La questione dilaniava tutti gl'americani, fin dentro le stesse famiglie, dove alcuni erano "pro", altri "contro". Dilaniava, ovviamente, anche i Partiti politici, ad es. quello Democratico, fondato nel 1823, e che aveva vinto le elezioni nel 1856, ed il cui elettorato del Nord era contro la schiavitù, quello del Sud a favore. Quello Repubblicano, che aveva alle sue spalle i magnati del Nord Est, vinse nel 1860 proprio candidando Lincoln, già senatore dal 1858. Abraham Lincoln stesso era stato inizialmente restìo - proprio a causa delle proprie convinzioni antischiaviste - ad entrare nel partito dei magnati del Nord Est e vi entrò proprio quando questo si impegnò apertamente contro la schiavitù. L'ascesa di Lincoln al Campidoglio segna dunque la improcrastinabilità della risoluzione della più radicale delle antinomie degli States. A seguito della sua elezione la Carolina del Sud lascia l' Unione, il 20 dicembre 1861, seguita, a gennaio, da Texas, Mississippi, Florida, Alabama, Georgia e Luisiana che daranno origine agli Stati Confederati del Sud, cui si uniranno in aprile anche Arkansas, Carolina del Nord, Tennessee e Virginia. La guerra inizia il 21 luglio con la battaglia di Bull Run. Le ostilità andranno avanti con esiti alterni fino alla battaglia di Gettysburg (1863), dopo la quale Lincoln con Grant e Sheridan inaugureranno un nuovo tipo di guerra connotata dall'estrema celerità e che sarà studiata e messa in seguito a punto dai generali della Wehrmacht nel secondo conflitto mondiale: il "Blitzkrieg". E' grazie ad esso che le sorti volgeranno rapidamente a favore del Nord. Nel 1864 Lincoln è rieletto Presidente, e continua la sua guerra alla schiavitù, in particolare in Parlamento per giungere alla approvazione del 13° Emendamento - abolizione della schiavitù - approvato nel gennaio del 1865. Ferito in un attentato il 14 aprile, Lincoln morirà il giorno successivo. L'ultimo reparto Confederato si arrenderà il 26 maggio, poi ci sarà l'occupazione militare del Sud. La guerra potrà considerarsi definitivamente vinta nel 1869 con Grant Presidente. Il materiale, e soprattutto la titanicità del personaggio, come si vede, anche da questa estrema sintesi è abbondantissimo, anche per un grandissimo del calibro di Steven Spielberg, il quale, proprio per questo ha operato una scelta decisiva: concentrarsi sull'ultimo periodo della vita e dell'opera di Lincoln, e di considerarlo anzitutto dal suo profilo più proprio: quello del grande politico e statista. L'esito è, specie per il pubblico europeo, vincente, in quanto delinea una figura che per la maggior parte di questo pubblico è senz'altro inedita e probabilmente anche controversa. Abbiamo infatti un Lincoln che "baratta" seggi in parlamento, che "quasi" compra voti, spregiudicato, tenace e determinato, spesso anche oltre il "political correct", ed in questo "spinto" anche dalla sua compagna, in un agire la cui etica è configurabile forse solo a partire dal suo fine: dunque un personaggio anche "macchiavellico". Il tutto non intacca minimamente la figura, anzi la connota ulteriormente per ciò che essa é: il Presidente più Grande. E' di gran lunga il più bello dei film firmati dalla regia del grande Maestro.
francesco latteri scholten.

giovedì 17 gennaio 2013

Il libro più cristiano degli ultimi tempi: "Come un cane in Chiesa" di Don Gallo.


Avvincente come nessun altro e, soprattutto, "rosso di Kayenna" come il suo autore. Si legge tutto d'un fiato, rapidissimo. Ma bisogna imporsi l'obbligo di fermarsi a riflettere ed a lungo e profondamente, perché in realtà lo Spirito che aleggia è vasto assai. Dalle "Beatitudini", meglio dalle "Felicità", come le ribattezza Don Andrea, fulcro e nucleo della "Filosofia" del Vangelo, a tutte le realtà teologiche, ma soprattutto ed anzitutto sociali. Il riferimento principe, è ovviamente il Vangelo, ma anche il Concilio e la Costituzione della Repubblica Italiana, che fa propri quelli che furono già i principi della Rivoluzione Francese: "Liberté, Egalité et Fraternité". Qui Don Andrea "sfonda" decisamente, rispetto alle "classiche" valutazioni ecclesiastiche cui siamo abituati da sempre ed apre un orizzonte nuovo e di decisa contemporaneità cristiana: non più la solita lettura della Rivoluzione come fenomeno anticristiano ed antiecclesiastico, bensì la sottolineatura positiva di quei principi di contro ad un cristianesimo che a partire dall' "Editto di Costantino" - che oggi sappiamo essere un falso - e che Don Andrea giustamente condanna, vedendovi quella diabolica collusione con il potere che poi ha sostenuto sino agli ultimi giorni dell' "Ancienne Régime". Principi che invece, bene insegna il Vangelo, sono propri di un cristianesimo vero ed autentico. E' così che, alla luce delle "Felicità", come già indicava ns. Signore, si passano in rassegna le principali tematiche e problematiche del Vangelo, dai "sepolcri imbiancati", da "quelli che si credono a posto", da "a tavola con gl'ultimi", a "uomini che odiano le donne", o a "gl'altri siamo noi", per citarne solo alcuni. Tutto, ovviamente, nella realtà concreta dei ns giorni. Un libro, a dispetto delle prime apparenze, importante per un deciso approfondimento Spirituale personale oltre che socio culturale. Un libro che fa riflettere e molto, e questo è bello. Infine, ciliegina sulla torta, le vignette di Vauro, illuminanti, come sempre.
francesco latteri scholten.

E' vero: "...usciamo da vent'anni di deriva morale".


 E' l'affermazione clou con cui PierLuigi Bersani porta il suo discorso ai giovani, in un tripudio di applausi. Ed è - purtroppo - la verità, dall'ultimo "sequestro" del ragioniere di Berlusconi di alcune settimane fa, poi messo a tacere, che di fatto in qualche modo riportava al caso Mondadori, chiuso da una sentenza definitiva di condanna e da un giusto risarcimento a Carlo De Benedetti, dal caso della "nipotina" di Mubarak, in questi giorni in tribunale per vicende di prostituzione minorile, al caso Boffo, che portò alle dimissioni dell' ex direttore di Avvenire, e che la CEI, con giusto giudizio, ha ben pensato di porre poi alla direzione di TV 2000. Una concezione vittoriana della sessualità, della donna e della persona, un delirio di personalismo, che ricordano ben da vicino un altro infausto ventennio della storia d'Italia: quello fascista. Per fortuna l'esistenza di una Unione Europea e di una realtà mediorientale ed africana ben diverse da quelle dell'epoca, ha evitato che ci fosse anche la sciagura - tra le altre - di un diretto coinvolgimento in qualche guerra. L'esito del ventennio è però lo stesso: un disastro. Un disastro - dati economici alla mano - paragonabile soltanto a quello del ventennio fascista, i dati sono del tutto raffrontabili con quelli del 1947, e, lì si era appunto appena usciti da una guerra. Ed ha di nuovo ragione il leader del PD quando continua: "Basta con gli show, con le schermaglie, le sceneggiatine. Parliamo di Italia. Lo ripeto: Parliamo di Italia. Parliamo di ricostruzione, perché questo Paese ha bisogno di Ricostruzione". Un discorso stupendo, che si colloca - finalmente! - pienamente nella scia della Sinistra più grande e più vera, da Palmiro Togliatti ad Enrico Berlinguer. La Sinistra che - dalla Costituente - ha fatto l'Italia, che ha dei riferimenti valoriali propri e veri e che perciò stesso è stata in grado di dialogare alla Costituente. Così sono oggi questi riferimenti valoriali la più vera apertura a Monti, appunto per Ricostruire l'Italia e per ricostruirla grande.
francesco latteri scholten.

domenica 13 gennaio 2013

Manifestazioni: con Parigi, pro famiglia, contro Roma, affidamento bimbi a gay.


Oltre 800.000 presenze. Bella, bellissima, anzi: magnifica. Erano anni che la capitale francese non ne vedeva una così grandiosa ed imponente. Parigi, invero, ne vede da secoli per le sue vie e le sue piazze ed esse sono anche da sempre le ambasciatrici dell'avanguardia culturale che la colloca alla leadership europea e mondiale. Un'avanguardia religiosa e laica, da quando San Tommaso d'Aquino era sulle barricate con gli studenti a lottare per l'Università libera, avversato dal clero secolare (sic!) e dal feudalesimo. Per le stesse cause, presso la stessa Università, la Sorbonne, s'impegnerà Sartre nel '68. Parigi, avanguardia civile, specie nel Novecento, più d'ogni altra capitale europea. Avanguardia culturale, oltre che laica, anche cristiana, con nomi eccellenti quali Etienne Gilson o Jacques Maritain, e con tendenze anche assai disparate, quali quelle di Frere Roger da un lato o quelle di Lefevre dall'altro. Come ai tempi di Tommaso Parigi è scesa in piazza per una causa insieme religiosa e laica, "La" causa prima della realtà umana e della sua esistenza in tutti i tempi e le civiltà: la famiglia. La realtà antropologica prima, senza la quale l'uomo, ma anche i mammiferi più evoluti, non è concepibile. Proprio per questo, seppure tra molteplici critiche, nessuno aveva mai osato metterla seriamente in discussione, e le critiche stesse erano finalizzate alla sua realizzazione più piena. La coscienza di questa primarietà e della necessità di un suo maggior sviluppo e tutela, hanno spinto Parigi in piazza a difesa di quello che è il nucleo ed insieme il fulcro della società francese come di ogni altra società. Si sono trovati così in piazza laici e credenti delle più diverse ed eterogenee realtà socio culturali e politiche. Mons. Bernard Podvin, Presidente della Conferenza episcopale francese ha - tra l'altro - dichiarato: “Non sono preoccupato, perché ho fiducia nel buon senso dell’opinione pubblica. La questione ha un forte impatto sui valori della società e le persone di buon senso sanno che la famiglia è una cosa che riguarda noi tutti, al di là dell’appartenenza o dei diversi orientamenti politici e religiosi; è ovvio che la Chiesa prenda una posizione esplicita: come potrebbe rimanere indifferente di fronte a questo movimento popolare?” Manifestazione anche a Roma, di dimensioni decisamente molto molto meno significative, e per motivi antropologicamente antiumani: l'affidamento di bimbi a coppie gay. Il raffronto tra le due manifestazioni segnerebbe una inversione di tendenza essendo notoriamente Parigi sempre stata più laicista di Roma, ma qui va chiarito che il laicismo di Parigi è stato spesso antropologicamente più coerente di quello di Roma. Specie di quello della Roma di oggi. Audaces fortuna juvat: viva Parigi.
francesco latteri scholten.

venerdì 11 gennaio 2013

Affidamento bimbi a coppie gay: con il Papa contro sentenza anticostituzionale.


 Era l'anno 1947, la guerra era finita, il fascismo vinto e le forze antifasciste avevano dato vita - oltre che al Governo provvissorio - ad una Assemblea Costituente per la redazione della nuova Costituzione della Repubblica italiana, che sarà approvata il 22 dicembre. Gli stessi comunisti di allora - che ancora lo erano per davvero - avevano votato l'art. 7 che stabiliva l'inserimento in Costituzione dei Patti Lateranensi. Quando all'art. 3 si era detto della pari dignità e dell'eguaglianza di fronte alla legge - principi sacrosanti che nessuno vuole mettere qui in discussione - nessuno aveva inteso ciò nel senso di una abrogazione delle specificità individuali, di sesso, razza, cultura, religione, opinione politica, come del resto sancito specificamente tanto dallo stesso art. 3, quanto dal precedente art. 2. Nessuno pensava che questo significasse che un cattolico dovesse diventare buddista, un buddista dovesse diventare musulmano, un musulmano ebreo o, tutt'e quattro atei. Nè che un fascista dovesse diventare comunista e viceversa o che entrambi dovessero diventare democristiani. A nessuno, a cominciare dai comunisti, sarebbe venuto in mente che l'affidamento più idoneo per un bimbo fosse quello ad una coppia gay. Non sarebbe venuto in mente, neppure trent'anni dopo, ad uno Spirito emancipatissimo, di altissimo livello culturale, ma dichiaratamente sia comunista che omosessuale, come Pier Paolo Pasolini. Del resto non venne mai in mente né a Marx o a Lenin, tantomeno a Trotskji o a Che Guevara. Neppure Mao pensò mai ad una roba del genere. Lo stesso Mikhail Bakunin non se l'era mai sognato la notte. Togliatti, "il Migliore", lì presente l'avrebbe severamente condannata al pari di tutti i presenti aprescindere dalle appartenenze politiche. La recente sentenza della Corte Costituzionale, dunque tradisce manifestamente lo spirito ed anche la lettera della ns carta Costituzionale. Essa, inoltre manifesta un aperto spirito antropofobico, perché nega al padre legittimo del bimbo di vedere il proprio figlio e gli nega inoltre la paternità per ascriverla ad una coppia di lesbiche. Essa cioé nega all'uomo il suo diritto alla pari dignità ed all'eguaglianza di fronte alla legge, sancendo di fatto una discriminazione sessuale contro l'uomo.
francesco latteri scholten.

giovedì 10 gennaio 2013

Quale donna può votare ancora per il partito dello "psiconano"?


"Giudichesse, femministe e comuniste" e ridaje! Così, more solito, l'exploit di quello che giustamente qualcuno, tempo addietro, aveva definito lo "Psiconano", sui giudici che lo hanno condannato. I "comunisti" sono tirati in ballo sempre, anche se non si capisce né come né perché e neppure cosa cavolo c'entri il "comunismo", buttato lì come i cavoli a merenda, probabilmente a dimostrare la congruità di quelli come Mario Monti che hanno dichiarato apertamente che nelle dichiarazioni, come nelle azioni dello "Psiconano" "...ci sarà pure un senso ma mi sfugge". Alcuni particolari emersi su quanto accadeva ai "festini" di Arcore potrebbe essere illuminante per gli studiosi appasionati della "psiche" e delle sue devianze, in particolare i travestimenti da infermiera o da poliziotta. Alla vigilia tuttavia di importanti elezioni politiche ed in piena campagna elettorale ciò che importa non può essere tanto la contorta realtà "interiore" - se qui questo termine può ancora avere un significato - dello "Psiconano" quanto i suoi risvolti socio culturali e politici. Il riferimento non è alle varie storie e storielline, come quella della "nipotina di Mubarak" (nelle immagini, significative: in gabbia con il frustino), quanto quello ben più grave della eversione della concezione della donna propria del nostro, rispetto a quella sancita dalla nostra carta costituzionale e che le Magistrate - lo scrivo con la M maiuscola perché lo meritano - hanno fatto benissimo a difendere. Ogni donna infatti - e non solo né le "giudichesse, femministe e comuniste", né le Magistrate - deve a fronte di questo interrogarsi decisamente anche per quale concezione della donna andare a votare, perché è chiaro che qui si sta decidendo - oltre tutto il resto - se volere la concezione dignitosa della donna sancita dalla nostra carta costituzionale o se si vuole il ritorno alla concezione infame ed infamante della donna quale nella morale vittoriana o pre vittoriana.
francesco latteri scholten

domenica 6 gennaio 2013

Monti, Pasolini e le contrapposizioni destra - sinistra.



 In un ampio spettro del mondo politico e socio culturale hanno suscitato vivaci reazioni le recenti estrinsecazioni del Presidente del Consiglio Mario Monti che aveva definito ormai datate e frutto di vecchi ed obsoleti schemi mentali - oltreché di una visione riduttiva ed anzi monodimensionale - le contrapposizioni destra / sinistra. Invero le osservazioni del Presidente Monti erano già state anticipate negli anni '70 suscitando a tratti scalpore ed a tratti indifferenza nel mondo della cultura, e totale ignoranza in quello politico. Quasi a testimonianza della veridicità della cosa le tesi erano state sostenute sulle colonne del "Corriere della Sera", il più allineato dei grandi giornali di "regime" da quello che era considerato uno degli intellettuali più di "sinistra": Pier Paolo Pasolini, probabilmente il nome più importante della cultura italiana del Novecento. Pasolini, anticipandolo decisamente, si mostra ancor più di Monti uomo di orizzonti mentali estremamente vasti, di grande acume, sagacità e profondità di osservazione. Il 10 giugno 1974, ne "Gl'italiani non sono più quelli" osservava: "Il contesto sociale è mutato nel senso che si è estremamente unificato. La matrice che genera tutti gl'italiani è ormai la stessa. Non c'è più dunque differenza apprezzabile - al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando - tra un qualsiasi cittadino italiano fascista ed un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili. Nel comportamento quotidiano, mimico, somatico, non c'è niente che distingua - ripeto al di fuori di un comizio o di un'azione politica - un fascista da un antifascista ( di mezza età o giovane, i vecchi in tal senso possono ancora essere distinti tra loro )." Ma l'osservazione di Pasolini fu ben più profonda e radicale e, soprattutto, più pungente di quella di Mario Monti: "Per quel che riguarda gl'estremisti, l'omologazione è ancor più radicale. A compiere l'orrenda strage di Brescia sono stati dei fascisti. Ma approfondiamo questo loro fascismo. E' un fascismo che si fonda su Dio? Sulla Patria? Sulla famiglia? Sul perbenismo tradizionale, sulla moralità intollerante, sull'ordine militaresco portato nella vita civile? O, se tale fascismo si definisce ancora, pervicacemente, come fondato su tutte queste cose, si tratta di un'autodefinizione sincera? Il criminale Esposti - per fare un esempio - nel caso che in Italia fosse stato restaurato a suon di bombe, il fascismo, sarebbe stato disposto ad accettare l'Italia della sua falsa e retorica nostalgia? L'Italia non consumistica, economa e eroica (come lui la credeva)? L'Italia scomoda e rustica? L'Italia senza televisione e senza benessere? L'Italia senza motociclette e giubbotti di cuioio? L'Italia con le donne chiuse in casa e semi velate? No, è evidente che anche il più fanatico dei fascisti considererebbe anacronistico rinunciare a tutte queste conquiste dello "sviluppo". Conquiste che vanificano, attraverso nient'altro che la loro letterale presenza - divenuta totale e totalizzante - ogni misticismo e ogni moralismo del fascismo tradizionale." E, mentre Mario Monti, da uomo di Stato e con il senso dello Stato guarda al nuovo orizzonte alla ricerca di una nuova politica, Pasolini coglie il nucleo della nuova realtà e del nuovo Potere che in essa si è sibillinamente ma profondamente insediato, e lo identifica con quello dello stragismo italiano: "Il fascismo delle stragi è dunque un fascismo nominale, senza un'ideologia propria (perché vanificata dalla qualità di vita reale vissuta da quei fascisti), e, inoltre, artificiale: esso è cioé voluto da quel Potere, che dopo aver liquidato, sempre pragmaticamente, il fascismo tradizionale e la Chiesa (il clerico-fascismo che era effettivamente una realtà culturale italiana) ha poi deciso di mantenere in vita delle forze da opporre - secondo una strategia mafiosa e da Commissariato di Pubblica Sicurezza - all'eversione comunista." In un articolo successivo, sempre sul "Corriere della Sera", il 24 giugno 1974, intitolato "Il Potere senza volto", Pasolini ne traccia l'identikit: "L'identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti "moderni", dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente, ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e, quanto all'edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la Storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una "mutazione" della classe dominante, è in realtà - se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia - una forma "totale" di fascismo. Ma questo Potere ha anche "omologato" l'Italia: si tratta dunque di una omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l'edonismo e la joie de vivre. La strategia della tensione è una spia, anche se sostanzialmente anacronistica, di tutto questo."
francesco latteri scholten
Riferimenti: emeroteca del "Corriere della Sera" e "Scritti corsari" di Pier Paolo Pasolini.

giovedì 3 gennaio 2013

L' Universo tra cosmologia e mito.



"In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: sia la Luce! E la Luce fu. Dio vide che la Luce era cosa buona e separò la Luce dalle Tenebre." (Gn, 1, 1-4). E' il celeberrimo mito biblico della creazione "ex nihilo" che oggi trova sostegno nella tesi di Jean Le Maitre e George Gamov, il cosìddetto "Big Bang", ed è la tesi cosmologica più diffusa, sebbene restino in essa diverse questioni in sospeso, ad esempio su cosa sia stato "prima" e che senso possa qui assumere questo termine, o anche, su cosa sia accaduto nei primissimi "millisecondi" del "tempo". Il "Big Bang" è comunque l'esempio più celebre di come oggi la scienza, specie la matematica e la fisica, riproponga ciò che già aveva detto il mito. Sono gli sviluppi delle equazioni della "Relatività Generale" di Albert Einstein ad aver dato origine alle diverse tesi cosmologiche contemporanee, tra cui appunto quella del "Big Bang". La tesi sostenuta direttamente da Einstein, con quelle equazioni è tuttavia un'altra: quella dell' "Universo a blocchi". Spazio e tempo costituiscono una "realtà" (un Universo) quadridimensionale che - con estrema semplificazione - ci si può immaginare come costituito da "blocchi" spazio temporali in cui passato presente e futuro sono interconnessi. Anche questa è però una concezione già presente nella mitologia antica e precisamente in quella delle Indie, dove nelle "Cronache di Akasha" si parla appunto di un Universo così costituito e dove è citato tutto ciò che è da sempre accaduto e che potrà accadere, comprese le vite di tutti gl'uomini. E' un altro mito dell'India antica e questa volta si tratta di Brahman, che concepisce il mondo e quando si addormenta questo scompare per essere ripensato il giorno dopo, ad anticipare un'altra ipotesi post "Big Bang": quella dell' "Universo oscillante" di Alexander Friedmann, che sostiene che l' Universo sia una successione di "Big Bang" e "Big Crunch". Ad essa si oppone quella di Freeman Dyson della "fine ghiacciata", secondo la quale l' Universo invece, al contrario, è in una espansione continua e costante sino alla fine dei tempi per cui le stelle si diradano sempre più, vi sono sempre meno nuovi agglomerati gassosi da cui possano formarsene di nuove e quelle vecchie muoiono: è il modello anticipato già dall' "Inferno" di Dante dove l'ultimo girone è il più oscuro e tenebroso, la "Ghiaccia", appunto. La scienza moderna dunque è stata alla fine in grado di darci solo un impianto descrittivo diverso, quello matematico, ma non è stata in grado di dare risposte esaustive e soprattutto univoche, come non ha saputo darci nulla di nuovo. La verità è che secondo i più recenti ed esaustivi studi l' Universo è costituito per circa l' 80% dalla cosìddetta "Materia Oscura" (da non confondere con l'antimateria), definita così perchè di essa non si sa assolutamente nulla. In altri termini: non si sa di cosa sia costituito l' 80% dell' Universo. In altri termini ancora: non si sa l' Universo cosa sia. Le equazioni matematiche della scienza moderna altro non sono se non un linguaggio diverso in cui vengono espressi i vecchi miti di sempre, nei quali l'uomo ha tentato di congetturare l'arcano, il mistero, ed in cui trova spazio il proprio inconscio, le proprie paure e le proprie speranze, l'orrore e la meraviglia.
francesco latteri scholten.