giovedì 13 dicembre 2012

Povertà e secolarismo


La povertà, intesa come frugalità, ma anche quale semplicità del vivere e, più ancora, quale semplicità dello Spirito, già nell'antichità era indicata come meta, come traguardo del saggio vivere tanto negl'ambienti giudaici, quanto in quelli della classicità greca. In essa matureranno nello stoicismo, ma anche - perlomeno parzialmente - nell' "aureum medium" di Aristotele, nella concezione della virtù come medio tra gl'opposti eccessi. Aderiranno a ciò non soltanto coloro che ne erano di fatto coerciti dalla propria realtà, ma anche molti tra coloro la cui realtà era quella dell'agio o della ricchezza, anche della grande ricchezza e del grande potere. Una povertà rigorosa seguita come virtù ebbe un impulso notevole, dall'ultima grande figura del giudaismo antico: quella di Giovanni Battista. Nostro Signore Gesù Cristo, nel celeberrimo "Discorso della Montagna" gli dette l'imprimatur della Beatitudine. Figure celeberrime quali - ne citiamo solo due - quelle di San Giovanni evangelista e San Paolo, nel tessere l'incontro tra la cultura giudaica e quella greca ne incarnarono l'esempio e ne furono la propagazione. Nel mondo non cristiano dell'antichità, uno degl'ultimi e più significativi esempi è stato quello di Lucio Anneo Seneca, l'uomo più ricco ed uno dei più potenti del suo tempo. Il suo epistolario a Lucilio, e le sue opere in genere, ne sono una importante testimonianza. La diffusione del cristianesimo da una parte, portò sia pur lentamente al sorgere del monachesimo con la figura del "monaco" incarnante questa "Beatitudine", il declino prima e la caduta poi dell'impero romano e perciò della sua cultura teocesarista e con l'imbarbarimento in genere, dall'altra, resero il monaco di fatto custode e perciò erede della cultura: di tutta la cultura. La cultura dunque fu indirizzata a questa Beatitudine, o almeno di ciò si fece ufficialmente sfoggio. Alla corruzione e perciò alla deviazione di fatto da questo fine fece seguito "la rivolta dal basso" di molti, finalizzata alla sua restaurazione. Tra le tantissime, la figura più importante di questa riaffermazione della Beatitudine della povertà fu San Francesco d'Assisi. Furono secoli nei quali - pur tra molte e spesso assai discutibili vicende e realtà - questa Beatitudine conservò una centralità spirituale. Essa cominciò a declinare poi progressivamente con l'avvento, pochi secoli dopo, del secolarismo, costituito inizialmente dall' "Umanesimo". Due duri colpi sono segnati dal secolarismo successivo, dal "Razionalismo"  che assegna la centralità alla Ragione, nuovo "dio" che sostituisce l'antico Cesare, e dall' "Illuminismo" che ne segnerà l'assolutizzazione. L'esito è la destituzione della povertà da Beatitudine prima e da virtù poi. La Ragione dunque e perciò la sua scienza e la scienza che è tale solo in quanto scienza della Ragione. Ma la scienza ormai si occupa di tutto, anche di economia e società. Bisogna allora indagare le "cause" di quella che non essendo più né Beatitudine, né tantomeno virtù, è - eo ipso - soltanto un obbrobrio ed un abominio. Riuscirà a "scoprirlo" - secondo lui - Malthus: il povero è tale per colpa dei suoi vizi e della sua immoralità e non merita altro che lavorare da schiavo per uno stipendio appena sufficiente al proprio sostentamento, altrimenti destinerebbe il denaro ai suoi vizi. La povertà dunque è ora colpa e di più: colpa meritata e perciò giusta pena. Sarà però proprio il secolarismo laico ed economico scientifico, analizzando dettagliatamente la povertà a scoprire che se il lavoratore è schiavizzato e retribuito con un salario appena sufficiente al proprio sostentamento egli è di fatto e strutturalemte escluso dal sistema economico: in cambio di una merce (M), il suo lavoro, ottiene del denaro (D) che ridà in cambio di altra merce (M), il suo sostentamento: M - D - M. E' dunque sistematicamente escluso dal ciclo dell'accrescimento economico: denaro (D) per comperare merce (M) ossia lavoro da rivendere sotto forma di prodotto, in cambio di altro denaro (D): D - M - D. Ma così la povertà non è più colpa propria e tantomeno giusta pena, ma è colpa strutturale del sistema e dei detentori della ricchezza del sistema. E' Marx a riabilitare la povertà, a restituirle una dignità, anche se continua a spettare agli antichi l'averla elevata a virtù ed a ns. Signore di averla insignita della Beatitudine.
francesco latteri scholten.

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