sabato 7 settembre 2013

Condannato il politico, inquisito il giudice: 20 anni di guerra civile italiana.



In uno degl'episodi più noti della sua vita, San Paolo, a chi lo giudicava, con sprezzo ribatteva: "E tu che sei lì a giudicarmi in nome della legge, contro la legge mi condanni?" Ormai molti anni fa, abitavo da poco in un paesetto ed avevo lasciato inavvertitamente l'auto in divieto di sosta. Tornai subito dopo aver comprato il giornale e trovai il vigile che stava redigendo il verbale. Gl'osservai che c'erano tante altre vetture egualmente in sosta, compreso guarda caso, quella del sindaco, dell'imprenditore Tizio Caio, del fratello del comandante dei vigili e quella del comandante locale dei Carabinieri. Mi rispose laconico in piena faccia: "io non le sto vedendo..." E' certamente vero che io ho commesso un reato, ma, è altrettanto certamente vero che quella "giustizia" giusta non fosse. Similmente, a ben altro livello, Nicola Cusani, uno dei nomi eccellenti di Tangentopoli, notava come ad un certo punto si fosse reso conto che in realtà, più che sviscerare determinati meccanismi e giungere al loro fondo, agl'inquirenti interessasse andare in determinate direzioni. C'è una doppia sconfitta: quella della politica, incapace di mediare perché incapace di tessere e guidare; quella della giustizia, incapace di porsi al di sopra delle parti. Dietro, una realtà che sembra riportare in vita le ombre dell'era di Dante: una società spaccata in due da altrettante grandi fazioni in sempiterna lotta: Guelfi e Ghibellini. Oggi, ovviamente, non si chiamano più così, sono molto più dinamici e camaleontici, cambiano pelle ogni momento, ma poi, sotto, resta lo stesso. Chiunque voglia prendersi la briga di visitare un'emeroteca ed andare a ritroso da oggi agl'anni immediatamente precedenti quelli di Tangentopoli e poi tornare ad oggi, non può fare a meno di notare come vi siano in realtà due grandi fazioni - magari inizialmente diramantisi in partiti o fazioni ideologiche, e staccantisi progressivamente da queste mentre intonavano il "De Profundis" mondiale delle ideologie - in lotta irriducibile tra loro. Lotta assolutamente invero di potere economico come proprio la caduta delle ideologie dimostra: il discorso di Matteo Renzi dell'altro giorno avrebbe benissimo potuto stare in bocca a Brunetta così come la firma del referendum pannelliano per la liberalizzazione delle droghe fatta da Berlusconi e Brunetta fino a ieri era appannaggio della sola "sinistra". Lotta di cui la politica è ad un tempo maschera e strumento, al pari del resto, che la giustizia. Lotta ove si punta ad "alzo zero" e che perciò sfocia dall'altro lato, agl'antipodi, anche direttamente nella criminalità organizzata, e lì si mostra nella sua recrudescenza più totale con le "mattanze" di mafia, di camorra, di 'ndrangheta, e da dove (e verso cui), al tempo stesso trova il suo incontro con massonerie e servizi deviati e non, e da lì alle stragi di Stato a conferma della ns sovranità nazionale solo parziale. Recrudescenza che del resto trova la sua concrezione già anche a livello della stessa "giustizia", dove si è incapaci di elevarsi al di sopra di una concezione che già è stata di Robespierre e di Saint Just e che ha trovato sfogo nel Terrore. La concezione giudaica semplicisticamente capace solo di intendere la colpa come debito e la giustizia come suo pagamento e, conseguentemente il vero magistrato come quello de "I Miserabili". Una tragedia ormai ventennale, origine prima della gravità della ns crisi, e diramantesi in una coreografia in cui l'elemento drammatico è progressivamente ed ineluttabilmente portato ad accentuarsi anche dall'elemento del "Tertium non datur", tutto quanto esula dal canovaccio dato è bollato come relativismo etico. E, siamo di nuovo a Robespierre, a Saint Just, al giudaismo. Di nuovo come ai tempi di Dante: Guelfi e Ghibellini, e, chissà se la grande attualità e il revival di Dante non sia dovuto anche a questo. Comunque sia, per gl'eretici c'è il rogo, e ci sono di nuovo anche le cacce alle streghe. Per il momento il punto è questo: il politico è stato condannato, il magistrato inquisito.

francesco latteri scholten.

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