venerdì 4 maggio 2012

Un dottor sottile per problemi dalle soluzioni tanto banali quanto irrealizzabili: 2/3 di stipendio in meno ai politici.


 Riformare e soprattutto ridurre la spesa politica in Italia. Un compito teoricamente assai semplice, con soluzioni anch'esse semplici, o comunque certamente sufficientemente semplici da non implicare in nessun modo la delega ad un più o meno qualificato esperto, neppure ad un "mediocre". Il problema non è, banalmente, quello di ridurre il finanziamento ai partiti, dove già il recente fatto del sopravanzo di 100 milioni (100.000 stipendi da mille euro), che sarebbero ben potuti tornare nelle casse dello Stato, dimostra l'arduità, alla prova dei fatti, delle cose. Il problema vero è che i politici nostrani, al pari dei manager, sono foraggiati con salari che non esistono in nessun altro Paese al mondo e che sono di circa tre - quattro volte - superiori a quelli dei più ricchi Paesi del globo. Attenzione: si sta parlando di politici, non del "Palazzo". Si intende dire tutti i politici, dal consigliere e dall'assessore del Comune del paesetto, a quelli della Provincia, della Regione, ed infine a quelli del Palazzo. L'adeguamento a livello di altri Paesi, significherebbe la riduzione pro capite di due terzi dello stipendio. E qui si tratta - come le cronache sia recenti che più o meno remote dimostrano - di tagliare lo stipendio a gente che, con l'eccezione delle dovute eccezionalità, con quello stipendio non ci sta comunque e soprattutto non gli basta neppure per lavorarci e così chiunque abbia questa pretesa è costretto "ad oliare gl'ingranaggi". Le cronache di ieri lo dimostrano abbondantemente con ENI Mont, tangentopoli etc, quelle più vicine con Parmalat, quelle di oggi con le vicende dei tesorieri di vari partiti a cominciare dai "noi siamo più bianchi e puliti" della Lega, alle vicende di Don Verzé e del San Raffaele, della sanità pugliese e via dicendo. Probabilmente il Presidente Mario Monti non si riferiva a questo quando asseriva che quello nostro sia un problema culturale, ma che questo sia un problema culturale delle nostre classi dirigenti è - ahimé - purtroppo evidente. Qualcuno, tra questi Beppe Grillo, si è azzardato a dire che, sotto quest'aspetto, la politica sia peggio della mafia. Gli si è dato addosso da tutte le parti e ci si è affrettati a tirar fuori le asserzioni di Badalamenti e Cirillo che affermavano lo stesso. Ferma restando la condanna di mafia, camorra et similia, va detto che purtroppo dati alla mano quell'affermazione non è del tutto priva di fondamento, anzi. La politica, meglio i suoi costi, sono il primo e maggiore disincentivo ad investire in Italia, non solo per chi viene da fuori, ma per gli stessi italiani che difatto le aziende in Italia le chiudono per trasferirsi altrove. Ci si metta un attimo nei panni di un imprenditore: deve pagare i costi della politica maggiorati di tre, quattro anche cinque volte rispetto all'estero, deve pagare almeno sei, sette volte di più rispetto all'estero i propri manager, e se vuole concludere qualcosa deve anche pagare per "oliare gl'ingranaggi giusti". E cosa conclude? Nella migliore delle ipotesi di aver prodotto un prodotto allo stesso livello di quello che avrebbe prodotto altrove con costi inferiori di almeno cinque volte. Non si tratta del costo della manod'opera, le cifre milionarie che ogni volta in vicende quali quelle citate escono fuori non sono per la manod'opera, non lo sono neppure quelle legalmente dichiarate. I quattro milioni - più bonus vari, si capisce - che prende un noto manager italiano, sono quattromila stipendi da mille euro. I 70 milioni di uno degli ultimi scandali economico politici, sono 70.000 stipendi da mille euro. I 30 mila euro che prende il dottor sottile, sono trenta stipendi da mille euro. In compenso il Parlamento ha già rinviato a dopo le amministrative la discussione - si badi: la discussione - sulla riduzione dei costi della politica. Il problema non è la soluzione, ma la sua applicazione e probabilmente i trenta stipendi da mille euro sono per un buco nell'acqua perché non si vuole la soluzione, e, meno che mai, la sua applicazione.
francesco latteri scholten.

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