mercoledì 21 novembre 2012

Quando finirà la crisi.

 Al “quando” la crisi finirà è possibile dare una risposta ben precisa. Non si tratta – ovviamente – della specificazione cronologica di un preciso terminus ad quem temporale, come gl’economisti doc si sforzano con analisi accuratissime – benché false – di dare una risposta. Non si tratta qui né di creare allarme sociale, neppure di minimizzare la res. Si tratta di andare – qui in senso ovviamente economico – alle cose stesse. Sono proprio queste cose stesse quelle che vengono sistematicamente ignorate nella maggior parte, per non dire nella totalità, delle analisi che ci sono propinate. Si tratta sostanzialmente di due fattori, e con essi è possibile dare una risposta al quando la crisi finirà. Non si tratta di fare chissà quali sofisticherie, o scomodare chissà chi, basta il caro buon vecchio Adam Smith: la crisi finirà quando si giungerà all’equilibrio del sistema per quanto concerne i due fattori. Il primo fattore è quello della antinomia globale del sistema, dove per antinomia non si intende more solito la contraddittorietà, bensì l’essere anti Nòmos, ossia contro il diritto, contro la giustizia. E’ quanto denunciato già a suo tempo ed a ripetizione dal "Professore di Harvard", John Kenneth Galbraith, sia ne Il grande crollo, sia ne L’economia della truffa. Ci si riferisce al meccanismo – perfettamente legale – delle scatole cinesi e delle scatole cinesi combinate, grazie ai quali quelli che sono di fatto azionisti di minoranza possono muoversi legalmente come se fossero di maggioranza. Questo fattore è uno dei più importanti per quanto riguarda le ultime grandi crisi. E’ un fattore però storico in quanto è stato già il fattore precipuo del crollo di Wall Street nel 1929, e istitutivo della grande crisi mondiale degli anni ’30 del Novecento. Nessun legislatore in nessun Paese ha voluto porre rimedio a questa lacuna nomistica, che dunque permane. Il secondo fattore è un fattore attuale, contemporaneo, che colpisce tutto l’Occidente. Esso è dato e consiste in un movimento speculativo che è esattamente inverso a quello del secondo dopoguerra del Novecento, anni ’50 e ‘60. Lì un management intelligente aveva ben compreso non solo l’inumanità, ma soprattutto la fallimentarietà sul piano economico del capitalismo manchesteriano. Si era cioè capito che l‘ipersfruttamento del lavoratore era non solo abbrutente umanamente, ma distruttivo dell’economia in quanto tale. Si era capito che se il lavoratore invece che 350 euro di oggi al mese – come nei Paesi dell’Est – ne percepisce 1.100, può permettersi uno standard di vita più elevato ed in questo modo incrementare l’intero sistema economico. Oggi da un lato si deporta (uso il termine proprio) manodopera a costi infimi in Occidente, dall’altro si esportano le nuove fonti di occupazione, le fabbriche, in Paesi a basso costo di manovalanza, per poi rivendere i prodotti così ottenuti sul mercato “ricco” dell’Occidente. Ciò che qui in modo miope si ignora – o si finge di non vedere – è quale sia la causa della ricchezza del mercato Occidentale e soprattutto che così se ne distrugge l’origine attuando quella che di fatto è una vera e propria politica economica di terzomondializzazione dell’Occidente. Quando finirà la crisi? Quando, come voleva il buon vecchio Adam Smith e come ribadiva il Professore di Harward, si sarà giunti all’equilibrio.
francesco latteri scholten

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