giovedì 14 febbraio 2013

Benedetto XVI: ultima difesa del Concilio?


 E' del tutto dedicato al Concilio Vaticano II l'incontro di Benedetto XVI con i parroci della sua diocesi, quella di Roma. Per il Papa esso è l'ultimo grande atto di confronto della Chiesa con la "modernità" e il richiamo immediato è alla grande figura istitutrice della "modernità": Galileo Galilei. A chi scrive viene subitaneo il raffronto con la figura di Urbano VIII. La condanna di Galileo segna infatti non solo la disfatta, all'interno della Chiesa, del "partito modernista", filofrancese, ma, nel rapporto con la modernità è più incisiva e deleteria. Come bene ha mostrato recentemente Pietro Redondi, la denuncia contro Galileo era in realtà per atomismo (va ricordato  che a causa della straordinaria somiglianza visiva della grafia di redazione del documento con quella del gesuita Padre Orazio Grassi antagonista di Galileo al Collegio Romano, egli omise un esame calligrafico tecnico, che fatto successivamente, identificò invece la grafia con quella di Padre Inchofer). La cosa avrebbe portato Galilei, scienziato fiduciario del Papa, al rogo, per eresia, e, viste le celebrazioni del Saggiatore da parte di Urbano VIII, alla condanna per eresia dello stesso. Bellarmino dirottò il processo sulla via del copernicanesimo, peraltro praticamente già accettato dalla Chiesa, Urbano VIII fu così salvato dall'accusa di eresia e Galilei dal rogo. L'esito fu disastroso perché così fu condannato persino ciò che della modernità la Chiesa già accettava e, di fatto fu spostato indietro l'orologio di 4 secoli. La tesi copernicana non era importante per la Chiesa in quanto tesi astronomica e per la sua contrapposizione su questo piano con quella geocentrica, bensì per la concezione antropologica di cui questa era ritenuta la prova. Come risulta dagli atti del processo, e da diversi scritti e testimonianze, tanto di Bellarmino quanto di altri, fondamentale era semplicemente il traghettare la vecchia concezione antropologica e le sue corrispondenti strutture sociali e politiche nella nuova "realtà". Ma questo, specie se si parte dal presupposto di un Dio creatore e perciò di un Universo ed un uomo creazione, non è più confrontarsi, semmai rifiutare il confronto. Il Papa non è ovviamente - del resto sarebbe occorso più di un incontro interamente dedicato al tema - entrato nel merito e, la sua voleva essere solo "una chiacchiearata con i parroci". Si è limitato così a pochissime battute, ma ad una affermazione importante: "quell'approccio con la modernità e quanto ne è seguito è stato un errore da parte della Chiesa". Ma se il Concilio è l'ultimo atto del confronto della Chiesa con la modernità, e Joseph Ratzinger è stato uno dei suoi emeriti, uno di quelli che ad esso hanno dato una impronta significativa, come egli stesso sottolinea, se poi il Card. Ratzinger ha continuato in ciò, se specie da capo della "Congregazione della dottrina per la fede" ha continuato a farlo improntando tutta la teologia e quindi la politica della Chiesa durante il papato di Giovanni Paolo II e quindi da Papa, nel proprio, allora le sue dimissioni - indubbiamente atto di grande umiltà e responsabilità - sono però anche il segno della disfatta all'interno della Chiesa, di un suo "partito". Disfatta che avviene nel confronto con la stessa realtà che quello di Urbano VIII: il confronto con la modernità. Che i problemi rimangano e rimangano purtroppo irrisolti, come ai tempi di Galilei, traspare dal seguito del discorso, peraltro assai brillante, di Benedetto XVI. Lasciato Galileo con poche battute, il discorso volge con forza ai contenuti "forti" del Concilio, la priorità del rapporto con Dio anzitutto, e qui il Papa sottolinea come troppo spesso quest'aspetto del Concilio, il più importante ed al quale tutti gl'altri sono gregari, sia trascurato o non debitamente valorizzato. Da qui la riforma della liturgia, l'uso della lingua volgare e l'introduzione di forme atte ad una maggior partecipazione popolare. Egli sottolinea anche la fondamentalità di una crescita spirituale guidata che sola può davvero aprire alla intellezione delle scritture e senza la quale anche l'esplicitazione delle stesse nella lingua conosciuta è inutile. Sono le parti su cui il Papa si intrattiene più a lungo e da cui emerge attuale la sua insuperabilità di teologo. Infine alcune osservazioni sulla Gaudium et Spes, ma anche sull'ecumenismo e sul rapporto interreligioso con ebrei e musulmani chiude la bellissima chiacchierata. Più che il confronto con il mondo moderno, pare che il problema principale sia rimasto lo stesso che ai tempi di Urbano VIII: quello di traghettare un modello antropologico e sociale in una realtà che lo aveva sconfessato, per di più in una Chiesa al cui interno altri partiti sostenevano con forza - ed hanno poi vinto - posizioni precedenti. E, purtroppo pare che sia così anche oggi all'interno della Chiesa, dove - a fronte di qualche minoranza che vuole una "modernità" - sono in molti, forse in troppi, a volere il ritorno alla realtà preconciliare. In questa disfatta va detta poi anche una cosa - e la dico con rammarico perché mi ritengo anche un ammiratore di Ratzinger - e cioè una linea che nel tempo - e può essere qui che si tratti del mutare dei tempi per cui ciò che ieri era progressista appare oggi come conservatore - ma la linea seguita nel tempo appare - almeno a me, mi si consenta di avere eventualmente opinioni sbagliate - mi appare dicevo, ambigua. Si passa da posizioni estremamente progressiste, specie per i loro tempi, a posizioni, a ruota a Paolo VI, decisamente conservatrici, si pensi alla marginalizzazione di molti importanti teologi da parte proprio di Ratzinger, cosa di cui egli stesso ha poi ammesso di aver sbagliato, ma si pensi anche ad es. al ruolo della donna: è significativo che in tutta questa "chiacchierata" non ve ne sia traccia.
francesco latteri scholten.

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